Mi preme da subito sottolineare
un aspetto strettamente legato alla tutela delle risorse ambientali, turistiche
e culturali del Mar Mediterraneo, quello delle attività di esplorazione finalizzate alla scoperta di giacimenti
petroliferi e di idrocarburi che comporta per sua natura operazioni invasive
dei fondali e degli ambienti marini. Su questo tema sono particolarmente
impegnato dapprima come "siciliano" e istituzionalmente come
Presidente della Commissione Ambiente del Senato. Mi permetto per questo di
segnalare, in questa sede, la fervente attività parlamentare svolta fino ad
oggi a tutela della Sicilia e di tutto il Mar Mediterraneo.
Già nella scorsa
legislatura mi sono occupato della tutela dell'ambiente marino avanzando una
proposta di legge specifica sull'argomento. Impegno che sto proseguendo come
dicevo anche in veste di Presidente della Commissione Ambiente. In apertura di
questa legislatura infatti ho già presentato un disegno di legge avente per
oggetto "il ripristino del divieto di prospezioni petrolifere entro il
limite di 12 miglia marine dalla costa" e avviato anche una approfondita
indagine conoscitiva sugli impatti prodotti sull'ambiente marino dalle attività
di prospezione.
Inoltre il Senato, il
2 aprile u.s., ha approvato a grandissima maggioranza un ordine del giorno
assai articolato che ho presentato in Aula come Presidente della Commissione
Ambiente, in materia di perforazione dei fondali marini per la ricerca e lo
sfruttamento di idrocarburi, che tende fondamentalmente a limitarne l'azione
nelle zone di pregio. Desidero sottolineare innanzitutto la forte e positiva
convergenza di gran parte dei Gruppi parlamentari, anche dell’opposizione. E
peraltro, sul testo approvato il Governo ha espresso parere favorevole,
condividendone lo spirito e il contenuto.
Per rendere ancora
più completa ed efficace l'attività di indagine che sto svolgendo in qualità di
Presidente della Commissione Ambiente, lo scorso 6 ottobre ho effettuato un
sopralluogo, con l'ausilio della Guardia Costiera, presso la Piattaforma
"Prezioso" per accertarmi personalmente della regolarità nello
svolgimento delle attività da parte dell'ENI, attività indirizzate non soltanto
all'estrazione di idrocarburi ma anche e soprattutto a rispetto degli standard
di sicurezza e tutela del patrimonio di biodiversità dell'ambiente marino.
E' mia intenzione futura proseguire, insieme
agli altri Senatori componenti della Commissione Ambiente, ad effettuare "sopralluoghi"
presso le altre piattaforme presenti davanti le coste siciliane.
Lo straordinario valore del
Mediterraneo, dal punto di vista naturalistico, storico-archeologico e
culturale, le ineguagliabili qualità dei nostri ecosistemi marini, sono alla
base, solo se adeguatamente salvaguardati e attentamente valorizzati, delle
fondamentali economie mediterranee, che nella considerazione, da un lato, della
loro ultrasecolare attività e, dall'altro, dello svilupparsi di nuove forme di
economia legate ad un razionale, corretto e moderno uso della "risorsa
mare" costituiscono una fondamentale ed avvertita "speranza" per
il futuro delle giovani generazioni.
Il Canale di Sicilia
è uno dei mari a più alta biodiversità del Mediterraneo grazie a una serie di
complessi processi oceanografici che influiscono sulla produttività delle sue
acque. In questa zona sono connessi tra loro il bacino occidentale del
Mediterraneo con quello orientale. L’intensa circolazione insieme alla
complessa topografia del fondale caratterizzata da isole e montagne sottomarine
che mantengono elevati i livelli di produttività contribuiscono a creare
modelli unici di biodiversità. Dalle grandi foreste di gorgonie e coralli di
profondità, che vivono su fondali rocciosi e ospitano una ricchissima fauna, a
fondali più fangosi, importanti per la riproduzione di specie ittiche
d’interesse commerciale, il Canale di Sicilia rappresenta un’area unica in
tutto il Mediterraneo. È inoltre numeroso il transito di esemplari di specie
vulnerabili o a rischio di estinzione.
A
distanza di tempo è ancora vivo il ricordo di ciò che accadde nel Golfo del
Messico qualche tempo fa e le spaventose conseguenze che generò a causa del
guasto alla piattaforma Deepwater Horizon e l’idea che lo stesso episodio possa
accadere nei nostri mari, causando danni ambientali sicuramente ancor più
devastanti, ci induce alla massima prudenza nell’autorizzare nuove attività di
prospezione e perforazione in zone particolarmente delicate come, nel caso
specifico, quella del canale di Sicilia e di tutto il Mar Mediterraneo. La
forte preoccupazione nasce anche dal fatto che il Mediterraneo è un mare
piccolo e semichiuso, con proprie ed originalissime caratteristiche e
paradossalmente in questo
straordinario patrimonio dell'intera umanità, che ha una dimensione inferiore
all'1 per cento dei mari del mondo, già grava il transito del 25 per cento del
traffico mondiale di idrocarburi, di cui solamente un terzo destinato ad
approdi e quindi a consumi mediterranei: 400 milioni di tonnellate annue di
idrocarburi con una presenza giornaliera di 300 petroliere, in condizioni di
funzionamento e operatività spesso intollerabili. A seguito di sinistri e
incidenti marittimi, operazioni ordinarie per il trasporto di idrocarburi
(scarico e carico, allibo, bunkeraggio, eccetera), operazioni illegali (lavaggio
cisterne e scarico delle acque di sentina), attività di ricerca e sfruttamento
dei giacimenti sottomarini, finiscono in mare centinaia di migliaia di
tonnellate di idrocarburi e dato ancor più allarmante è quello che il Mar
Mediterraneo attualmente è nel mondo il mare più inquinato da idrocarburi, con
una densità media di catrame pelagico di 38 milligrammi per metro quadro,
quattro volte superiore a quella del mar dei Sargassi al secondo posto (10
milligrammi per metro quadro) e oltre dieci volte rispetto alla media degli
altri mari del mondo ! Non si può di certo trascurare
l’alto profilo di grande sensibilità per l'equilibrio ambientale del
Mediterraneo, a cominciare da quello della corretta disciplina dei traffici, da
quelli degli scarichi dei grandi centri urbani e degli agglomerati industriali,
dell'impatto di ogni altra attività antropica. Per questo motivo lo
straordinario ed unico concentrato di tesori che vi è contenuto, esige un
impegno più forte e più coerente rispetto all'ineludibile necessità di
apprestare un sistema di regole, limitazioni e divieti effettivamente in grado
di proteggere il nostro mare da un rischio il cui concretizzarsi ne minerebbe
la sopravvivenza stessa. Nel caso specifico la consapevolezza dei gravissimi
pericoli connessi alle attività di estrazione offshore nel Mediterraneo, e non
solo, induce a guardare con grande attenzione all’impatto delle proposta del
Primo Ministro Renzi di raddoppiare le trivellazioni in Italia, come del resto
fece il Governo Monti con l'emanazione del decreto del 27 dicembre 2012. Quel
testo aveva esteso l’area per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi al largo delle coste della Sicilia rischiando di
compromettere il delicato equilibrio geologico di questa area che grazie all’ampliamento
della zona “C” previsto nel
testo apriva, con viva preoccupazione, alla ricerca e alla coltivazione
degli idrocarburi in mare, ricomprendendo il mare tutto attorno alla nostra
Isola in particolare nella parte meridionale ed il Banco Graham e l’adiacente
porzione del Vulcano Empedocle. In particolare l’area
del Canale di Sicilia interessata da questo vulcanismo è un’area sismogenetica
che arriva a lambire la costa siciliana tra Sciacca e Selinunte e prosegue
nella Valle del Belice. Sono noti diversi terremoti storici anche di grande
intensità che hanno prodotto tsunami nel 1727 e nel 1817. Infatti, l’attività
sismica nell’area risulta piuttosto vivace anche se i terremoti recenti sono di
bassa magnitudo. Come riportato nei cataloghi sismici strumentali, l’ultimo
evento di maggior magnitudo (4.3 Scala Richter) è avvenuto il 10 aprile 2007 di
fronte a Sciacca. In tempi più recenti, tra febbraio e aprile 2011, è stata
inoltre registrata una sequenza sismica localizzata tra la costa siciliana e
Malta, la cui magnitudo massima ha raggiunto il valore di 4.1. Il Banco Graham,
che ha formato l’effimera isola Ferdinandea a circa 25 miglia a sud ovest di
Sciacca durante l’eruzione del 1831, rappresenta l’unico vulcano italiano attivo
in tempi storici ancora quasi completamente sconosciuto, che manca di un
sistema minimo di monitoraggio, e del quale non si conosce al momento quale sia
il suo stato di attività. Il Canale di Sicilia, attualmente, è monitorato
dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia mediante 3 stazioni
localizzate nelle isole di Pantelleria, Lampedusa e Malta, e da quelle lungo la
costa siciliana. Complessivamente, le stazioni permanenti operanti in tutto il
settore meridionale della Sicilia, sono ad oggi 11. Da questa puntuale
descrizione tecnica si desume l’assoluta inopportunità a proseguire e
autorizzare nuove trivellazioni nella zona.
Al di là del mio
impegno personale a salvaguardia del nostro territorio credo comunque siano
necessarie delle considerazioni politiche da farsi sul
futuro di questo nostro Paese, che forse può trarre più chances dalla cura
delle nostre straordinarie ricchezze naturali, paesaggistiche e culturali
tralasciando così un modello industrialistico che fa acqua da tutte le parti:
noi abbondiamo di ricchezze naturalistiche irripetibili, dall’inestimabile
valore di mercato mentre la nostra industria è avviata verso un declino ormai
ineludibile. Lo sviluppo sostenibile, chiave di volta del progresso tecnologico
del nuovo secolo, impone un rapido cambiamento e una riconversione dei metodi
tecnologici delegando alle scienze chimiche il compito di giocare un ruolo
primario nella riconversione di vecchie, obsolete e talvolta pericolose
pratiche, come ad esempio quella delle trivellazioni petrolifere, in nuovi
processi puliti e nella progettazione di nuovi prodotti e nuovi processi
eco-compatibili. La consapevolezza del fatto che l'inquinamento non conosce
confini nazionali, particolarmente quello dell'aria e dell'acqua, richiede
sempre più l'adozione di politiche di controllo internazionalmente accettate.
Ricordiamo che le scorte di combustibili fossili non sono eterne e queste nuove
tecnologie potrebbero ridurre i consumi e gli sprechi energetici nell'eseguire
i processi industriali, utilizzando fonti energetiche rinnovabili per il
funzionamento degli impianti industriali. Altra considerazione da farsi sulla
proposta di istituzione di "aree
protette di alto mare" è che hanno, dati oggettivi alla mano, costi
proibitivi, di gestione e sorveglianza, e comunque necessitano di un’adeguata
ponderazione circa i regimi giuridici da applicare fuori dalle acque
territoriali.
La Sicilia è focal point di una
convenzione tra le nostre regioni dello Ionio e del Sud Italia con il Ministero
dell’ambiente, per l’attuazione della Marine Strategy (che scaturisce dalla
Direttiva comunitaria 56/2008/CE); in quella veste la Regione deve farsi
promotrice del più ampio coinvolgimento degli attori della società civile e
dell’economia meridionale, anche allacciando sinergie e rapporti con i Paesi
della sponda Sud del Mediterraneo, per tracciare modelli di sviluppo
ecocompatibili a tutela del più grande tesoro che ci accomuna in pace con tutte
le popolazioni di questo nostro straordinario bacino, il mare.
Conseguentemente
è evidente l'urgenza per il nostro Paese, di avviare, anche nelle sedi
internazionali e comunitarie, idonee iniziative politiche, normative ed
amministrative per definire più severe regolazioni, strumentazioni e capacità
di intervento a fronte dei pesantissimi rischi connessi alle diverse attività
di ricerca, coltivazione e trasporto via mare di idrocarburi, non sull'onda
dell'emozione per i tristi accadimenti passati, ma per l'amara consapevolezza
che, nel nostro piccolo e già inquinato mare, un analogo accadimento ne
decreterebbe la morte definitiva con la conseguente crisi irreversibile delle
principali economie mediterranee.
Queste
considerazioni e queste proposte sicuramente non collimano con le finalità di
settori portatori di specifici settoriali e non irrilevanti interessi
economici. Non si tratta dunque di aprire una "guerra" contro
qualcuno ma soltanto di invitare i decisori alla ragionevolezza, per non
dimenticare mai che il patrimonio del Mar Mediterraneo, nella sua integrità
ambientale, costituisce un interesse primario non solamente delle popolazioni
che su quel mare si affacciano e vivono, ma anche delle imprese che vi operano
a vario titolo. Le misure di cautela e di prevenzione che auspico, e che
dovrebbero essere definite e calibrate sulla base del doppio criterio della
ragionevolezza e dell'effettiva efficacia rispetto allo scopo, possono
comportare forse oneri e disagi, ma comunque certamente inferiori a quelli che
la comunità nazionale ed internazionale non potrebbe fare a meno di sostenere
ed imporre in caso di eventi traumatici che dovessero verificarsi a causa della
irresponsabile scelta di adagiarsi oggi in una posizione di inerte attendismo
ovvero di limitarsi ad adottare misure inadeguate ed insufficienti.