Legislatura 17
Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06026
Ai Ministri dell'economia e delle finanze
e dello sviluppo economico. -
Premesso che il gasolio è come il denaro,
non ha nome. Una volta consumato, non esiste più. Nel settore petrolifero
l'evasione fiscale ammonta a diverse decine di miliardi di euro all'anno in
Italia. Un fenomeno che da fisiologico e marginale sta diventando endemico e
strutturale. Un fenomeno che ha il subdolo effetto di far scendere i prezzi al
consumo dei carburanti, ma che rappresenta per lo Stato una perdita ingente (e
sottovalutata) di gettito e per gli operatori onesti una concorrenza sleale e
invincibile, che sta mettendo sul lastrico aziende che lavorano nel rispetto
delle leggi. Un fenomeno, infine, che anche le forze dell'ordine faticano a
tenere sotto controllo e a reprimere, sia per una legislazione poco efficace,
sia per l'assenza di un coordinamento nazionale tra gli organi di controllo;
considerato che:
diversi sono i metodi truffaldini
utilizzati per vendere sottocosto, approfittando da una parte della crisi dei
consumi che abbassa le soglie di tolleranza al rischio, e dall'altra
dell'abnorme carico fiscale sui prodotti petroliferi, che solletica gli
appetiti criminali con prospettive di lauti guadagni. Escludendo il
"dirottamento" all'interno del territorio nazionale di merce
documentalmente destinata all'estero (e che viaggia quindi in sospensione di
accisa) e la destinazione di gasolio agevolato ad usi con accisa piena, i
principali metodi sono: la sottrazione all'accertamento di prodotto da depositi
fiscali e raffinerie, attraverso lo sfruttamento dei cali, gli acquisti senza
Iva di false società esportatrici e le frodi carosello;
il primo sistema è costituito dal furto
sistematico di olio minerale, effettuato eludendo i sistemi di controllo
aziendali o con la connivenza dei gestori dei depositi. Il prodotto viene
periodicamente sottratto all'accertamento fiscale in uscita dal deposito, badando
a non sforare la soglia rappresentata dai notevoli cali legali consentiti
(proporzionali ai volumi di vendita). In tal modo gli ammanchi vengono
giustificati dal calo naturale e fisiologico delle merci. Se non si viene colti
in flagranza sul fatto, tale procedura non è rilevabile a posteriori da nessun
organo di controllo;
la frode delle false società di export consiste
nell'immettere in commercio il prodotto, evadendo l'Iva. Viene costituita una
società "ALFA" intestata a un prestanome. La società dichiara di
essere esportatrice abituale verso Paesi extra UE e deposita per questo
presso l'Agenzia delle entrate una falsa dichiarazione di intento. Nel
documento si dichiara di avere fatto esportazioni nell'anno passato e di avere
così maturato un credito Iva. Il credito (plafond) può essere
"speso" comprando in Italia in esenzione Iva. Con questa
dichiarazione, ci si può presentare a un fornitore "BETA" (deposito)
che venderà il prodotto senza l'applicazione dell'Iva. La società ALFA acquista
quindi da BETA con prezzo che sarà netto dell'Iva, in funzione della falsa
dichiarazione di intento, di cui il fornitore (deposito) ha solo l'obbligo di
verificarne il deposito presso l'Agenzia delle entrate. ALFA cede rilevanti
volumi di prodotto applicando l'Iva nei confronti dei clienti, con prezzi
fortemente concorrenziali grazie all'acquisto senza Iva. Successivamente, prima
della dichiarazione e versamento dell'Iva relativa all'anno precedente, la
società ALFA fallisce, il prestanome è un nullatenente e l'erario non incassa
un euro di Iva;
con le frodi "carosello",
invece, un sodalizio criminoso crea una società intestata a un prestanome
(cartiera, perché produce solo fatture). Questa compra prodotto da un Paese
comunitario, che viaggia in sospensione di accisa e di Iva (essendo l'imposta
neutra per l'acquirente nazionale). Si presenta a un deposito fiscale che
presta il servizio di regolarizzazione del prodotto dal punto di vista
dell'accisa ed emette il DAS nei confronti dei destinatari. La cartiera vende
direttamente il gasolio o per il tramite di una società interposta definita
"filtro". Infine la cartiera dovrebbe versare l'Iva incassata al 22
per cento (per le vendite precedenti), ma la stessa si dilegua ancor prima
della dichiarazione all'Agenzia delle entrate; in tutti questi casi,
bisognerebbe dimostrare l'accordo del gestore o del proprietario del punto
vendita con la cartiera o con la società che ha evaso l'Iva. Altrimenti,
l'unica cosa possibile è comminare una sanzione per incauto acquisto, una volta
verificato che il prodotto acquistato è frutto di frode. La sanzione è tuttavia
talmente lieve da essere di gran lunga inferiore al guadagno che nel tempo si è
potuto ottenere con le vendite di merce oggetto dell'illecito traffico;
a tutte queste difficoltà si aggiunge la
mancanza di un coordinamento nazionale nello specifico settore delle accise da
parte di chi deve reprimere i fenomeni illegali. Spesso le autobotti o i tir
di contrabbando vengono fermati (anche occasionalmente) prima che arrivino a
destinazione, vanificando così l'eventuale possibilità di lasciare andare i
carichi e scoprire i destinatari del prodotto. Servirebbe per questo creare un
gruppo di lavoro nazionale, specializzato nella specifica materia, che faccia
analisi sul fabbisogno e sui consumi effettivi finali, sulla fenomenologia
delle frodi, che faccia rete e condivisione di risorse e poi agisca con
efficacia sull'intero territorio nazionale. Una sorta di direzione nazionale
antifrode sulle accise;
considerato, inoltre, che, a quanto risulta
agli interroganti:
è crescente sul territorio italiano
l'immissione in consumo di prodotti "di contrabbando". Si tratta di
gasolio che viene qualificato (da una punto di vista chimico e quindi anche
doganale) come olio lubrificante. In quanto olio lubrificante, il prodotto
viaggia senza applicazione dell'accisa e senza ottemperare agli obblighi di
monitoraggio che sono uniformi al livello europeo e che sono garantiti dal
sistema Emcs (Excise movement control system). Trattandosi formalmente di olio
lubrificante, non devono essere emessi gli specifici documenti previsti dalla
normativa sulle accise e esso può viaggiare con una normale lettera di vettura
internazionale. In realtà, il prodotto, che viene qualificato come olio
lubrificante, è gasolio vero e proprio, forse un po' sporco, ma ha tutte le
caratteristiche chimiche per essere immesso in motori per autotrazione;
il prodotto viene poi spedito da depositi
localizzati soprattutto nell'est europeo, con documentazione che attesta una
cessione a imprese e depositi, che si trovano principalmente a Malta, in Grecia
e a Cipro. In realtà, il prodotto entra nel territorio italiano per essere
immesso in consumo in maniera illecita senza il pagamento delle accise;
ad acquistare il prodotto sono soprattutto
le società di autotrasporto, quelle di movimento terra o, in alcuni casi, anche
impianti di distribuzione stradale. Il canale più utilizzato è quello del
rifornimento per grossi motori, anche nella navigazione, o per riscaldamento;
si evita, in tal modo, la distribuzione capillare attraverso i punti vendita,
la quale diventa estremamente rischiosa per i danni che questa tipologia di
prodotto può causare ai motori delle autovetture. Va da sé che i reali
beneficiari siano soprattutto le organizzazioni criminali, che molto spesso
hanno base all'estero. E questo, d'altra parte, danneggia i numerosi operatori
onesti che si trovano ad affrontare una concorrenza sleale rischiando di
trovarsi fuori mercato;
il prodotto solitamente entra in Italia
dal nordest, dai valichi del Friuli-Venezia Giulia, del Veneto e del
Trentino-Alto Adige. I carichi sono trasportati da soggetti stranieri. Buona
parte di questi traffici sono destinati in regioni del Mezzogiorno. Il flusso
di prodotto qualificato come olio lubrificante in partenza da altri Stati è
stato quantificato in 325 milioni di litri nel 2014;
valutato, infine che, a quanto risulta
agli interroganti:
la Guardia di finanza partecipa a
un'iniziativa comunitaria che si chiama Empact (European multidisciplinary
platform against criminal threats) e anche all'esecuzione di operazioni
internazionali in materia doganale. Nel 2015 sono stati sequestrati oltre 3
milioni di litri di prodotti energetici e sono stati accertati consumi in frode
per oltre 44 milioni di litri;
il problema delle frodi è connaturato al
meccanismo stesso dell'Iva, che prevede che i beni esportati non siano gravati
da imposta, per via del principio cardine dell'Iva, in base al quale il bene
viene tassato nel Paese nel quale viene immesso in consumo. Se un'impresa, che
abitualmente lavora con l'estero, acquista sempre con Iva e rivende senza Iva,
sarebbe periodicamente a credito. Per evitare che lo Stato si trovi a dover
rimborsare l'imposta, con conseguenze di carattere finanziario, la legge
prevede il meccanismo delle dichiarazioni di intento: il contribuente che
nell'anno solare precedente ha effettuato un certo numero di vendite all'estero
ha un plafond che può utilizzare per chiedere a operatori italiani di
non applicare l'Iva fino a un certo ammontare. Questo è il meccanismo
fisiologico, che diventa patologico quando tale dichiarazione di intento è
fasulla o attesta esportazioni superiori a quelle reali,
si chiede di sapere:
se non sia opportuno superare il regime
transitorio per l'Iva, prevedendo un sistema fiscale che determini la
tassazione nel Paese di origine, esattamente come avviene per le persone
fisiche;
se non sia necessario creare una sorta di
direzione nazionale antifrode sulle accise, ossia un gruppo di lavoro
nazionale, specializzato nella specifica materia, che faccia analisi sul
fabbisogno e sui consumi effettivi finali di petrolio, sulla fenomenologia
delle frodi, che faccia rete e condivisione di risorse e poi agisca con
efficacia sull'intero territorio nazionale.
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