giovedì 30 giugno 2016

Gasolio: Troppe frodi, serve direzione nazionale che agisca sul territorio

Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06026
Ai Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. -
Premesso che il gasolio è come il denaro, non ha nome. Una volta consumato, non esiste più. Nel settore petrolifero l'evasione fiscale ammonta a diverse decine di miliardi di euro all'anno in Italia. Un fenomeno che da fisiologico e marginale sta diventando endemico e strutturale. Un fenomeno che ha il subdolo effetto di far scendere i prezzi al consumo dei carburanti, ma che rappresenta per lo Stato una perdita ingente (e sottovalutata) di gettito e per gli operatori onesti una concorrenza sleale e invincibile, che sta mettendo sul lastrico aziende che lavorano nel rispetto delle leggi. Un fenomeno, infine, che anche le forze dell'ordine faticano a tenere sotto controllo e a reprimere, sia per una legislazione poco efficace, sia per l'assenza di un coordinamento nazionale tra gli organi di controllo;
considerato che:
diversi sono i metodi truffaldini utilizzati per vendere sottocosto, approfittando da una parte della crisi dei consumi che abbassa le soglie di tolleranza al rischio, e dall'altra dell'abnorme carico fiscale sui prodotti petroliferi, che solletica gli appetiti criminali con prospettive di lauti guadagni. Escludendo il "dirottamento" all'interno del territorio nazionale di merce documentalmente destinata all'estero (e che viaggia quindi in sospensione di accisa) e la destinazione di gasolio agevolato ad usi con accisa piena, i principali metodi sono: la sottrazione all'accertamento di prodotto da depositi fiscali e raffinerie, attraverso lo sfruttamento dei cali, gli acquisti senza Iva di false società esportatrici e le frodi carosello;
il primo sistema è costituito dal furto sistematico di olio minerale, effettuato eludendo i sistemi di controllo aziendali o con la connivenza dei gestori dei depositi. Il prodotto viene periodicamente sottratto all'accertamento fiscale in uscita dal deposito, badando a non sforare la soglia rappresentata dai notevoli cali legali consentiti (proporzionali ai volumi di vendita). In tal modo gli ammanchi vengono giustificati dal calo naturale e fisiologico delle merci. Se non si viene colti in flagranza sul fatto, tale procedura non è rilevabile a posteriori da nessun organo di controllo;
la frode delle false società di export consiste nell'immettere in commercio il prodotto, evadendo l'Iva. Viene costituita una società "ALFA" intestata a un prestanome. La società dichiara di essere esportatrice abituale verso Paesi extra UE e deposita per questo presso l'Agenzia delle entrate una falsa dichiarazione di intento. Nel documento si dichiara di avere fatto esportazioni nell'anno passato e di avere così maturato un credito Iva. Il credito (plafond) può essere "speso" comprando in Italia in esenzione Iva. Con questa dichiarazione, ci si può presentare a un fornitore "BETA" (deposito) che venderà il prodotto senza l'applicazione dell'Iva. La società ALFA acquista quindi da BETA con prezzo che sarà netto dell'Iva, in funzione della falsa dichiarazione di intento, di cui il fornitore (deposito) ha solo l'obbligo di verificarne il deposito presso l'Agenzia delle entrate. ALFA cede rilevanti volumi di prodotto applicando l'Iva nei confronti dei clienti, con prezzi fortemente concorrenziali grazie all'acquisto senza Iva. Successivamente, prima della dichiarazione e versamento dell'Iva relativa all'anno precedente, la società ALFA fallisce, il prestanome è un nullatenente e l'erario non incassa un euro di Iva;
con le frodi "carosello", invece, un sodalizio criminoso crea una società intestata a un prestanome (cartiera, perché produce solo fatture). Questa compra prodotto da un Paese comunitario, che viaggia in sospensione di accisa e di Iva (essendo l'imposta neutra per l'acquirente nazionale). Si presenta a un deposito fiscale che presta il servizio di regolarizzazione del prodotto dal punto di vista dell'accisa ed emette il DAS nei confronti dei destinatari. La cartiera vende direttamente il gasolio o per il tramite di una società interposta definita "filtro". Infine la cartiera dovrebbe versare l'Iva incassata al 22 per cento (per le vendite precedenti), ma la stessa si dilegua ancor prima della dichiarazione all'Agenzia delle entrate; in tutti questi casi, bisognerebbe dimostrare l'accordo del gestore o del proprietario del punto vendita con la cartiera o con la società che ha evaso l'Iva. Altrimenti, l'unica cosa possibile è comminare una sanzione per incauto acquisto, una volta verificato che il prodotto acquistato è frutto di frode. La sanzione è tuttavia talmente lieve da essere di gran lunga inferiore al guadagno che nel tempo si è potuto ottenere con le vendite di merce oggetto dell'illecito traffico;
a tutte queste difficoltà si aggiunge la mancanza di un coordinamento nazionale nello specifico settore delle accise da parte di chi deve reprimere i fenomeni illegali. Spesso le autobotti o i tir di contrabbando vengono fermati (anche occasionalmente) prima che arrivino a destinazione, vanificando così l'eventuale possibilità di lasciare andare i carichi e scoprire i destinatari del prodotto. Servirebbe per questo creare un gruppo di lavoro nazionale, specializzato nella specifica materia, che faccia analisi sul fabbisogno e sui consumi effettivi finali, sulla fenomenologia delle frodi, che faccia rete e condivisione di risorse e poi agisca con efficacia sull'intero territorio nazionale. Una sorta di direzione nazionale antifrode sulle accise;
considerato, inoltre, che, a quanto risulta agli interroganti:
è crescente sul territorio italiano l'immissione in consumo di prodotti "di contrabbando". Si tratta di gasolio che viene qualificato (da una punto di vista chimico e quindi anche doganale) come olio lubrificante. In quanto olio lubrificante, il prodotto viaggia senza applicazione dell'accisa e senza ottemperare agli obblighi di monitoraggio che sono uniformi al livello europeo e che sono garantiti dal sistema Emcs (Excise movement control system). Trattandosi formalmente di olio lubrificante, non devono essere emessi gli specifici documenti previsti dalla normativa sulle accise e esso può viaggiare con una normale lettera di vettura internazionale. In realtà, il prodotto, che viene qualificato come olio lubrificante, è gasolio vero e proprio, forse un po' sporco, ma ha tutte le caratteristiche chimiche per essere immesso in motori per autotrazione;
il prodotto viene poi spedito da depositi localizzati soprattutto nell'est europeo, con documentazione che attesta una cessione a imprese e depositi, che si trovano principalmente a Malta, in Grecia e a Cipro. In realtà, il prodotto entra nel territorio italiano per essere immesso in consumo in maniera illecita senza il pagamento delle accise;
ad acquistare il prodotto sono soprattutto le società di autotrasporto, quelle di movimento terra o, in alcuni casi, anche impianti di distribuzione stradale. Il canale più utilizzato è quello del rifornimento per grossi motori, anche nella navigazione, o per riscaldamento; si evita, in tal modo, la distribuzione capillare attraverso i punti vendita, la quale diventa estremamente rischiosa per i danni che questa tipologia di prodotto può causare ai motori delle autovetture. Va da sé che i reali beneficiari siano soprattutto le organizzazioni criminali, che molto spesso hanno base all'estero. E questo, d'altra parte, danneggia i numerosi operatori onesti che si trovano ad affrontare una concorrenza sleale rischiando di trovarsi fuori mercato;
il prodotto solitamente entra in Italia dal nordest, dai valichi del Friuli-Venezia Giulia, del Veneto e del Trentino-Alto Adige. I carichi sono trasportati da soggetti stranieri. Buona parte di questi traffici sono destinati in regioni del Mezzogiorno. Il flusso di prodotto qualificato come olio lubrificante in partenza da altri Stati è stato quantificato in 325 milioni di litri nel 2014;
valutato, infine che, a quanto risulta agli interroganti:
la Guardia di finanza partecipa a un'iniziativa comunitaria che si chiama Empact (European multidisciplinary platform against criminal threats) e anche all'esecuzione di operazioni internazionali in materia doganale. Nel 2015 sono stati sequestrati oltre 3 milioni di litri di prodotti energetici e sono stati accertati consumi in frode per oltre 44 milioni di litri;
il problema delle frodi è connaturato al meccanismo stesso dell'Iva, che prevede che i beni esportati non siano gravati da imposta, per via del principio cardine dell'Iva, in base al quale il bene viene tassato nel Paese nel quale viene immesso in consumo. Se un'impresa, che abitualmente lavora con l'estero, acquista sempre con Iva e rivende senza Iva, sarebbe periodicamente a credito. Per evitare che lo Stato si trovi a dover rimborsare l'imposta, con conseguenze di carattere finanziario, la legge prevede il meccanismo delle dichiarazioni di intento: il contribuente che nell'anno solare precedente ha effettuato un certo numero di vendite all'estero ha un plafond che può utilizzare per chiedere a operatori italiani di non applicare l'Iva fino a un certo ammontare. Questo è il meccanismo fisiologico, che diventa patologico quando tale dichiarazione di intento è fasulla o attesta esportazioni superiori a quelle reali,
si chiede di sapere:
se non sia opportuno superare il regime transitorio per l'Iva, prevedendo un sistema fiscale che determini la tassazione nel Paese di origine, esattamente come avviene per le persone fisiche;

se non sia necessario creare una sorta di direzione nazionale antifrode sulle accise, ossia un gruppo di lavoro nazionale, specializzato nella specifica materia, che faccia analisi sul fabbisogno e sui consumi effettivi finali di petrolio, sulla fenomenologia delle frodi, che faccia rete e condivisione di risorse e poi agisca con efficacia sull'intero territorio nazionale.

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