Natale e la debolezza dell’Europa
che a quei valori non crede più
Rispetto per l’Islam? È falso. Ma quel gesto racconta ciò che abbiamo perduto
Forse scandalizzerò qualcuno
confessando che non riesce, a me, di scandalizzarmi per le gesta
politicamente corrette di un preside di provincia, di un signore
commoventemente ligio al conformismo egemone. Quello dominato da una
sorta di raptus maniacale: la vigilanza ossessiva per «non
offendere» alcuno.
Per stare al nostro preside:
nonostante le sue precisazioni, resta il fatto che far finta di
niente a Natale, solennizzando invece a gennaio una neutrale «Festa
dell’Inverno», gli sembra un contributo al rispetto per le altre
culture e alla integrazione degli immigrati musulmani. C’è da
annoiarsi: capisco la sorpresa dello sprovveduto professore per l’eco
mediatica suscitata da una sortita di cui abbiamo visto e ogni giorno
vediamo qualche esempio. Per un esempio tra tanti: quante maestre, di
elementari se non di asilo, hanno distillato simili propositi
edificanti in assemblee grondanti buonismo e li hanno resi pubblici?
È ormai cosa da «breve», per dirla in gergo giornalistico, roba da
pagine di cronaca dei quotidiani locali.
È
tedioso dover spiegare per l’ennesima volta che l’effetto di
simili iniziative non consiste nella gratitudine degli islamici, con
aumento della stima per noi, tanto generosi. L’effetto sta, al
contrario, nella conferma del loro disprezzo per gente pronta a
nascondere le proprie tradizioni, anche religiose, per una piaggeria
gratuita, per giunta non richiesta.
Chi mai tra noi — si dicono
— chi mai rinuncerebbe al rispetto del digiuno anche per un unico
giorno di Ramadan? E questi, invece, si affannano a nascondere pure
la ricorrenza della nascita del loro Messia, che per giunta scambiano
per il Figlio di Dio, per non dar fastidio a noi e ai nostri figli a
scuola o all’asilo? Ma allora ha ragione l’imam quando, in
moschea, ci dice che questa Europa che fu cristiana ormai è atea ed
è pronta a passare la mano all’umma, la comunità di noi credenti
veri.
Tengano innanzitutto
presente, i presidi di provincia e, in genere, i portatori di
generosi sentimenti, che ogni musulmano — quale che sia la sua
miseria economica o la sua posizione sociale, anche infima — guarda
il cristiano dall’alto in basso, certo della sua superiorità in
ciò che conta: la conoscenza e l’adorazione dell’unico, vero
Creatore dell’universo. Maometto muore esattamente sei secoli dopo
la morte di Gesù. Questi è degno di ogni onore, il suo nome sia in
benedizione, ma solo perché, come penultimo profeta, è venuto ad
annunciarci l’arrivo dell’ultimo, definitivo profeta, colui al
quale l’arcangelo di Allah ha dettato, parola per parola, la
Rivelazione piena. Nella discendenza di Abramo vi è una scala
ascendente: la Torah degli ebrei, il Vangelo dei cristiani e —
infine — il Corano degli islamici. I quali, dunque, stanno al
vertice e guardano con compassione noi, credenti in Cristo, noi
attardati, noi fermi a un anacronistico gradino inferiore.
Anche per questo lo scambiare
per rispetto il nascondimento della nostra identità religiosa, è
visto come una conferma della vergogna che proviamo nell’essere
fermi a un Dio dimezzato , senza conoscere Allah. Per chi, come per
questi popoli, ciò che innanzitutto conta è la dimensione
religiosa, il vero sottosviluppo è il nostro, la nostra ricchezza
economica non vale nulla a confronto della loro ricchezza di
possessori della verità definitiva. Nessun islamico consapevole
accetterà un dialogo alla pari con i cristiani , per lui inutile
(che cosa ha ancora da sapere, nel Corano essendoci tutto?) ed anche
umiliante, essendo quelli fermi a Gesù, dunque a un livello ben
inferiore per coloro che ascoltano la testimonianza di Muhammad.
C’è, ripeto, un sospetto
di noia nel dovere ricordare — magari a persone di cultura come gli
insegnanti — realtà elementari che dovrebbero essere ben note. In
ogni caso, sia chiaro: per quella che Vico chiamava «l’eterogenesi
dei fini» (le buone intenzioni che, messe in pratica, producono
effetti rovesciati rispetto alle attese) il rinunciare alle nostre
prospettive e alle nostre tradizioni non porta alla pace. Può
portare, invece, alla guerra: non solo a quella del risorto
Califfato, ma anche a quella di altre parti dello sconfinato mondo
islamico. Mondo sempre più convinto che — nella nostra incuranza
religiosa — vi sia la conferma che siamo pronti alla resa, maturi
per l’islamizzazione, con le buone o con le cattive. E, in questo,
va pur detto, non avrebbero del tutto torto.
In effetti, quale Natale come
nascita di Cristo può difendere un Occidente — europeo e
nordamericano — che ha da tempo provveduto a cancellarne il nome?
Da anni è scorretto, inaccettabile, un Merry Christmas, sostituito
dunque da un Season’s greetings. E che cosa ha a che fare il
bambino di Betlemme con il vecchio, obeso Babbo Natale della Coca
Cola? Che c’entra colui che ripeté «beati i poveri» con il
trionfo commerciale della fine di dicembre? Che dire (i siti su
Internet ne sono pieni) del malizioso abbigliamento intimo proposto
alle donne per un sesso tutto speciale per festeggiare la notte in
cui, dicevano una volta, il Messia venne alla luce?
In fondo, siamo giusti:
perché prendersela troppo con il rappresentante di una scuola dove
insegnanti e allievi — alla pari dei loro compagni dell’intero
Occidente — in gran parte hanno gettato alle spalle il senso e il
messaggio di questa Nascita? In nome di quali «valori» dovremmo
schierarci a difesa, noi, cittadini di una Europa che ha rifiutato di
riconoscere che le sue radici stanno — non solo, certo, ma in gran
parte — in quei venti secoli di storia trascorsi dal parto di Maria
nel villaggio di Giudea?
C’è, in vicende come
questa , molto déjà vu. Ma non
manca di certo pure l’ipocrisia.
Vittorio Messori
Vittorio Messori
http://www.corriere.it/opinioni/15_dicembre_01/natale-debolezza-dell-europa-a7a2d494-9877-11e5-b53f-3b91fd579b33.shtml
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