mercoledì 16 settembre 2015

"VERSO PARIGI COP21. RIFLESSIONI PARLAMENTARI A CONFRONTO

Viviamo in un'epoca allo stesso tempo affascinante e terribile. Affascinante perché mai come adesso il futuro del Pianeta Terra è soprattutto nelle nostre mani, temibile perché la nostra generazione è la prima, da quando la specie umana è comparsa sulla Terra, ad avere il potere di distruggere in poco tempo tutto quello che ci proviene dal passato, compromettendo quello che potrebbe esistere nel futuro del nostro pianeta. L'Homo sapiens ha interagito con il mondo naturale sin da quando apparve sulla faccia della Terra. Con il passare del tempo e con l'evolversi delle proprie capacità culturali ha incredibilmente ampliato le proprie capacità di modificazione degli ambienti naturali. Ma è soltanto da pochissimo tempo, se lo rapportiamo al periodo per il quale si suppone sia apparsa sulla Terra, che la specie umana sta intervenendo rapidamente e profondamente sui cicli dell'intera biosfera, quella fascia costituita da acqua, aria e suolo ove è possibile l'esistenza ed il mantenimento del fenomeno vita.
Per far si che questo "cambiamento" non produca effetti ulteriormente negativi e per affrontare adeguatamente questa crisi globale bisognerà mettere al centro delle nostre politiche future quella della giustizia ambientale per costruire un rapporto più equo e giusto con la natura e per assicurare un accesso equo e sostenibile alle risorse naturali comuni. La crisi climatica è già ad un punto grave e il tempo disponibile per impedire che possa avere esiti catastrofici è ormai limitato: abbiamo a disposizione pochi decenni per poter contenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C.
Con i trend attuali, senza nuove e incisive misure di riduzione delle emissioni di gas serra, si andrebbe verso un aumento medio della temperatura media globale almeno doppio di quello ritenuto sostenibile, cioè a circa 4°C: ciò esaspererebbe ondate di calore, altri eventi atmosferici estremi, sconvolgimenti della biodiversità e dell’ambiente, con gravi pericoli anche per la sicurezza della produzione di cibo in vaste aree del pianeta.
I più poveri sono i più colpiti anche dalla crisi climatica, perché più vulnerabili e con meno possibilità di finanziare misure di adattamento. Le possibilità di un buon accordo per il clima a Parigi dipendono in buona parte dai tre principali emettitori mondiali di gas serra: la Cina, gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Purtroppo gli impegni fino ad ora annunciati in vista di Parigi, secondo le stime oggi disponibili, dalla Cina e dagli Stati Uniti non sono sufficienti e sono ancora lontani dalla traiettoria dei 2°C e anche l’Europa potrebbe fare meglio.

Dai grandi Paesi grandi emettitori, ci si auspica una strada di riduzione delle emissioni equa, verso le 3 tonnellate di emissioni di CO2eq pro-capite all’anno entro il 2050, compatibile con il contenimento dell’aumento di temperatura entro i 2°C.Dopo ben 25 Conferenze internazionali inefficaci, in vista della 26^ a Parigi, si spera in un maggiore impegno di tutte le persone di buona volontà, perché non prevalgano gli egoismi, gli interessi di breve termine, particolari e nazionali, ma si affermi, finalmente, una buona politica, in grado di affrontare questa crisi climatica in modo equo, aprendo la strada anche a nuove opportunità.
Giustizia ambientale
La giustizia ambientale si fonda su due presupposti, distinti, ma connessi. Il primo è quello di un giusto rapporto fra l’uomo e la natura, fra l’umanità e il resto del creato. La giustizia ambientale richiede la pratica di una buona relazione con la natura: quella che ci porta ad essere custodi e non dominatori del pianeta, ad essere buoni coltivatori che sanno utilizzare e mantenere nel tempo la capacità della terra di dare buoni frutti e non sfruttatori e distruttori.
Il secondo presupposto della giustizia ambientale è il pari diritto di accesso per tutte le persone al patrimonio naturale comune: all’acqua potabile, all’aria pulita, a un ambiente sano, a un territorio non inquinato.

Crisi climatica e i suoi effetti
Secondo il quinto Report dell’IPCC i trend attuali, senza misure aggiuntive di mitigazione, porteranno, entro la fine del secolo, a un innalzamento della temperatura media terrestre, rispetto al periodo pre-industriale, compreso tra 3,7 e 4,8°C (con concentrazione di CO2eq fra 750 e 1300 ppm), a fronte di una soglia di sicurezza raccomandata, ed acquisita nella trattativa sul nuovo Accordo globale per il clima, di +2°C (con concentrazioni di CO2eq non superiori a 450ppm).  Un riscaldamento globale di 4°C aggraverebbe significativamente la scarsità di risorse idriche in molte regioni, particolarmente nel Nord Africa e nell’Africa dell’Est, nel Medio Oriente e nell’Asia del Sud. Condizioni di maggiore aridità coinvolgerebbero l’Europa meridionale, l’Africa (ad eccezione di alcune zone del nord-est), ampie parti del Nord America e del Sud America e l’Australia meridionale. Eventi estremi di siccità sarebbero accompagnati da eventi estremi di piovosità concentrata in altri periodi dell’anno nelle stesse aree o in altre aree del Pianeta. Il rischio di dissesti negli ecosistemi come risultato degli incendi, della trasformazione degli ecosistemi, del deperimento forestale, dell’aumento dell’aridificazione e dell’avanzata della desertificazione, sarebbe significativamente più alto con un riscaldamento di 4°C.
Sarebbe comunque impegnativo mantenere livelli adeguati di produzione alimentare e agricola in risposta all’accrescimento della popolazione e all’aumento dei livelli di reddito, ma ora, nel trend in corso verso un aumento di 4°C, saremmo costretti a misurarci con uno scenario drammatico prodotto da una riduzione nella resa delle colture man mano che il pianeta si riscalda e i poveri sarebbero i più colpiti.
Nello scenario in corso dei +4°C i rifugiati climatici assumerebbero una dimensione molto preoccupante. Nel rapporto del 2012 del Segretario Generale all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sui diritti umani e le migrazioni viene presentata una ricerca che stima che più di 250 milioni di persone potranno essere sfollate a causa dei cambiamenti climatici.

Gli impegni finora assunti sono insufficienti
Con i negoziati per un nuovo Accordo per il clima, per il periodo post-2020, da adottare alla COP21 di Parigi, a dicembre 2015, i vari paesi hanno accettato di comunicare gli impegni di riduzione delle emissioni di gas di serra che sono disposti ad assumersi, nel quadro del nuovo Accordo, prima della trattativa finale della Conferenza di Parigi. Secondo l’analisi effettuata sugli scenari emissivi del settore energetico (che conta circa per i due terzi delle emissioni globali di gas serra), con gli attuali impegni presi dai Governi, il budget disponibile di emissioni per il secolo attuale verrebbe consumato comunque intorno al 2040, appena otto mesi più tardi di quanto previsto in assenza degli impegni annunciati alla vigilia della Conferenza di Parigi. Pur rallentando la crescita, le emissioni mondiali di CO2 non diminuirebbero entro il 2030, ma continuerebbero a crescere dell’8% tra 2013 e 2030 e il picco non sarebbe raggiunto neppure nel 2030. Le emissioni mondiali di CO2 del settore energetico, infatti, da 32,2 miliardi di tCO2 del 2013 anziché diminuire a 25,6 miliardi, come previsto dalla traiettoria dei 2°C, crescerebbero a 34,8 miliardi di tCO2. Analizzando il gap tra gli impegni dichiarati e lo scenario 450 ppm nei principali Paesi emettitori di gas serra al 2030, l’IEA osserva che:
-          la Cina emetterebbe 3,7 miliardi di tonnellate di CO2 in più di quelle previste dalla traiettoria per i 2°C (10,1contro 6,4 Gt),il 58% in più;
-          gli USA emetterebbero 1 miliardo di tonnellate di CO2 in più del previsto nella traiettoria dei 2°C (4 GtCO2 contro 3 Gt), il 33% in più;
-          l’UE potrebbe fare meglio riducendo 2,4 invece di 2 GtCO2, il 20% in più.

in vista dell'Accordo di Parigi
In vista dell’Accordo di Parigi, si devono superare ancora notevoli difficoltà, oltre che per avviare misure impegnative di adattamento, soprattutto per arrivare a tagli sufficienti delle emissioni di gas serra. Per la prima volta in 40 anni, i dati attuali ci confermano che le emissioni di gas serra da processi energetici non sono aumentate pur in presenza di una crescita del PIL mondiale del 3%. Negli ultimi 40 anni, le emissioni sono rimaste stabili o sono diminuite rispetto all’anno precedente solo tre volte e tutte e tre le volte è accaduto in corrispondenza con un anno di crisi dell’economia mondiale.

  Mozione presentata in Senato sui cambiamenti climatici in vista della Conferenza di Parigi
Insieme ad altri colleghi prima dell'estate abbiamo presentato una mozione sui cambiamenti climatici affinché si faccia uno sforzo in più per far si che a Parigi si trovi un accordo. Abbiamo chiesto al governo un impegno sul fronte internazionale perché l'Unione europea riveda al rialzo gli obiettivi previsti dal pacchetto clima-energia al 2030, riducendo del 45 per cento le emissioni, arrivando ad una quota di rinnovabili del 40 per cento e aumentando l'efficienza energetica al 35%. La Conferenza delle parti di Parigi deve partorire un accordo globale vincolante e aderente ai risultati dei rapporti scientifici dell'IPCC per contenere l'aumento della temperatura entro i 2 gradi centigradi. Abbiamo chiesto forme di fiscalità ambientale che rivedano in senso sostenibile le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse. Riteniamo inoltre sia necessario favorire la transizione verso un sistema energetico più sicuro e sostenibile, con investimenti sulla generazione, sulle reti e sull'efficienza energetica e rimuovendo subito tutti gli incentivi e i sussidi diretti e indiretti ai combustibili fossili. Entro la fine di questo mese ci auguriamo venga approvata la Strategia nazionale sui cambiamenti climatici elaborata dal ministero. Serve una 'Roadmap della decabornizzazione' che riguardi tutti i settori, per perseguire gli obiettivi comunitari al 2050. Va sostenuta la ricerca, promosse le smart city, favorita la diffusione del gas naturale e sono necessari interventi sui trasporti, con un'ulteriore riduzione delle emissioni delle automobili e un potenziamento delle alternative. Infine gli interventi per la riduzione delle emissioni a tutti i livelli di governo vanno svincolati dal Patto di stabilità perché sono un investimento nel futuro e sullo sviluppo.

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