giovedì 17 marzo 2016

I TANTI LACCI CHE BLOCCANO L'ITALIA di Susanna Tamaro

Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da questo Stato?

Da qualche mese i telegiornali ci bombardano di notizie incoraggianti sulla continua crescita del nostro Paese. Sale il numero degli occupati a tempo indeterminato, aumentano, seppure di cifre minuscole, i consumi e la crisi sembra ormai un brutto sogno alle nostre spalle. Ma è davvero così? Vivo da molti anni nella provincia del Centro Italia e quando esco di casa, parlo con le persone la sensazione è di segno completamente opposto. Dopo otto anni di crisi, i pochi risparmi messi da parte sono stati ormai bruciati, il possesso di una casa — vuoi per il mutuo che vi grava sopra, vuoi per l’impossibilità di vendere dato il totale stallo del mercato — si è trasformata in una vera e propria jattura. Possedere un immobile è ormai diventato un fattore di povertà. Le famiglie riescono a vivere, o meglio a sopravvivere, finché c’è un nonno in casa che ha una pensione, ormai l’unico reddito certo. Il mondo delle scintillanti start up è sideralmente lontano. I giovani contemplano i loro inutili e fantasiosi diplomi di lauree triennali — ottenuti con non pochi sacrifici da parte delle famiglie — che si sono rivelati alla fine meno efficaci della diavolina per accendere il fuoco. Il foglio di annunci economici della zona è pieno di laureati 110 e lode che si offrono per ripetizioni scolastiche o qualsiasi altro lavoro. Fantasie di un passeggiatore solitario? Non proprio, dato che l’Istat conferma che il Pil pro capite dell’Umbria è sceso del -8,37%. Più che sceso, direi precipitato. Il più basso d’Italia. E oltre al Pil più basso, l’Umbria sembra avere un altro privilegio: il più alto numero di persone impiegate nella pubblica amministrazione in relazione alla densità abitativa della popolazione.
Umbria desolata?
Eppure l’Umbria non è una landa desolata, devastata dalla malavita. È, o almeno era, una regione baciata dalla fortuna. Gode di un grande patrimonio storico artistico, oltre che di un paesaggio incantevole — seppure intaccato dagli orrori delle lottizzazioni — ancora integro e pieno di fascino, di una natura collinare e montuosa che sarebbe il paradiso per le piccole coltivazioni di qualità e per il turismo verde. Allora, come è possibile questo stato di gravissima sofferenza economica e di inerzia produttiva? È certo che la prima randellata sulla testa delle famiglie è stata inferta dal cambio di moneta che ha dimezzato di colpo il valore degli stipendi, con relativa capacità di acquisto. E poi, a questo primo imprevisto e drastico declassamento, lenti e inesorabili, si sono aggiunti i morsi della crisi che hanno eroso con diligente pazienza, anno dopo anno, tutti i tesoretti accumulati dalle famiglie. «Non ce la faceva più» è il commento che sento mormorare più di frequente quando mi trovo davanti a un’altra saracinesca abbassata a Orvieto. «Non ce la faceva più» si bisbiglia davanti all’ennesima lottizzazione lasciata incompiuta: le bocche nere delle porte e delle finestre, i piloni di cemento rimarranno lì a testimoniare la scelleratezza di un’epoca di incoscienza. «Non ce la faceva più» potrebbe essere il leitmotiv che accompagna l’inesorabile declino di un intero mondo fino a ieri attivo e operoso. Basta un breve viaggio nelle campagne dell’Umbria per accorgersi del gran numero di uliveti non più curati, di vigneti lasciati malinconicamente inselvatichire. Per un privato, possedere un uliveto, spesso ereditato, è ormai una vera maledizione. La raccolta delle olive è un’operazione lunga e faticosa e, fino a qualche anno fa, era possibile unicamente grazie alle grandi famiglie e alle comunità del posto che si rendevano disponibili a dare una mano. Ma ora non è più fattibile.
Uva, olive e burocrazia
Per legge, infatti, sui propri terreni possono lavorare soltanto i parenti strettissimi, padri e figli. Qualsiasi altra persona, lontano cugino, amico, vicino di casa, deve essere regolarmente retribuito. Così, chi chiamava gli amici a raccogliere le olive, regalando alla fine parte del raccolto per farsi l’olio non lo fa più perché rischia una multa in grado di abbattere un bilancio familiare. Produrre l’olio per trarne un guadagno dalla vendita è possibile forse ormai soltanto a chi possiede enormi estensioni di olivi e macchine in grado di effettuare la raccolta. L’uva e le olive condividono lo stesso destino. Per ambedue, i controlli sui lavoranti sono serrati e implacabili. In tempo di vendemmia, il cielo è spesso solcato da elicotteri che fotografano i fedifraghi che si fanno aiutare dagli amici, dai cugini di secondo grado o dal fidanzato della figlia. Non solo, a dare man forte arrivano anche le truppe via terra, bloccando la vendemmia per un giorno intero, se non due, alla ricerca del sicuro abuso compiuto. Così, dopo diversi anni di queste continue incursioni un mio conoscente, pur risultando ogni volta totalmente in regola, alla fine ha deciso di comprare la macchina per la vendemmia. La macchina naturalmente funziona benissimo ma dodici operai sono rimasti, e rimarranno per sempre, a casa. L’agricoltura di qualità sarebbe una grande opzione per queste zone collinari. Sarebbe, se si permettesse di farla, se non ci fosse una pletora di leggi, leggine, controleggi, balzelli, ordinanze, contro ordinanze gestite da un gran numero di enti spesso in contrasto tra loro — Comunità Montana, Forestale, Asl, Provincia, Regione, ministero dell’Agricoltura, Unione Europea e chi più ne ha più ne metta — che attuano degli ossessivi controlli degni di uno Stato totalitario. Controlli che avrebbero il fine ultimo di circoscrivere gli abusi ma che in realtà servono soltanto ad esasperare e a legare le mani a chi vuole intraprendere qualcosa, mentre i disonesti, i veri criminali, continuano a fare indisturbati quello che vogliono: frodi alimentari, caporalato, sottrazioni truffaldine all’Europa, ecc.
Artigiani e multe
L’ultima volta che ero dalla parrucchiera, nel brevissimo tempo del mio taglio di capelli sono entrate due madri chiedendo la possibilità di far assistere gratuitamente al lavoro le loro figlie adolescenti per imparare il mestiere. Con desolazione, la proprietaria ha dovuto rispondere che lo avrebbe fatto molto volentieri, ma che non poteva perché, se fosse arrivato un controllo, avrebbe rischiato una multa devastante. La stessa cosa mi hanno ripetuto diversi artigiani, falegnami, fabbri, desiderosi di avere a bottega un apprendista a cui tramandare la loro arte, ma impossibilitati a farlo per via dell’obbligo del bagno, dell’antibagno e del peso fiscale che li costringeva a dover comunque retribuire il ragazzo, anche se questi era del tutto digiuno dell’arte e spesso maldestro. Io stessa gestisco una piccola attività turistica e questo mi ha permesso di capire le vere ragioni della paralisi della società italiana molto più di un saggio di economia o di un summit di specialisti sulla crisi. Bisogna provare a fare le cose nel nostro Paese per toccare con mano l’impossibilità di farle. Nessuna meraviglia che il Word Economic Forum nel suo Global Competitiveness Index ci ponga al 49° posto nella classifica internazionale che misura la competitività, lo sviluppo e l’innovazione, in compagna del Kazakistan e delle Filippine. Per ottenere un semplice certificato dalla Comunità Montana dell’Umbria — ma non erano state abolite? — ho dovuto aspettare più di un anno e se alla fine sono riuscita ad ottenerlo è solo grazie a qualcuno che conosceva qualcuno che, a sua volta, conosceva qualcuno... Non averlo ottenuto in tempo, naturalmente, mi ha danneggiato ma di questo danno non posso rifarmi in alcun modo e, come me, immagino verranno penalizzate tutte le persone che intendono intraprendere un’attività produttiva per cercare di porre rimedio alla devastazione sociale ed economica che ha invaso queste terre. Sono andata al Consorzio Agrario per comprare i prodotti per il trattamento primaverile del frutteto, della vigna e dell’uliveto e ho scoperto che non potevo più farlo. Non sto parlando di prodotti tossici — per cui c’è stato sempre giustamente l’obbligo di un patentino — ma di sostanze umilmente arcaiche come la poltiglia bordolese e l’olio minerale. Per decisione del ministero, ora per comprare il verderame bisogna frequentare un corso che dura tre giorni e costa 200 euro, con relativo esame finale. Le piante però non so se saranno così gentili da aspettare la frequenza del corso e l’ottenimento del diploma, prima di farsi invadere dalle muffe, dai funghi e dagli afidi.
Il calvario degli onesti
Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da questo Stato che tra un po’ vorrà decidere anche di quanti centimetri sarà il fazzoletto in cui dovremo soffiarci il naso? L’Italia è un Paese popolato per la maggior parte da persone oneste, di buona volontà e di grande inventiva. Le aziende familiari, le piccole realtà sono state, fino all’arrivo della crisi, l’intelaiatura sana della nostra società. Ma ora non è più così e pare che la politica, al di là dei programmi e dei proclami, non se ne voglia accorgere. I falegnami vanno in pensione e chiudono, così come i fabbri, senza lasciare eredi. Le campagne sono in stato di degrado e di abbandono. Il numero sempre più alto di ragazzi che lasciano l’Italia dovrebbe rendere insonne qualsiasi politico. Perché qui non si parla solo di cervelli in fuga — quelli sono già andati tutti — ma anche di braccia e di gambe, cioè di giovani che, dopo anni di sfruttamento, di precarietà, di lavori sottopagati e umilianti, raggiungono le mecche del Nord per trovare degli impieghi in cui la dignità del lavoro viene rispettata. Non serve avere la sfera di cristallo per immaginare che dal 49° posto continueremo a scendere inesorabilmente, spinti non dalla nostra pigrizia o inerzia ma dall’ottusità di un apparato statale che tratta le persone oneste e per bene come possibili truffatori e resta per lo più inerme verso i veri delinquenti. Uno Stato che, nonostante i grandi proclami, continua a considerare chiunque voglia intraprendere un’attività un capitalista senza scrupoli, uno schiavista in pectore a cui vanno tagliate le gambe prima ancora che cominci a camminare.
http://www.corriere.it/cronache/16_marzo_17/corsi-comprare-verderame-burocrazia-crisi-2c13cd72-ebbc-11e5-bd81-e841f592bd45.shtml

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