La recente riforma pensionistica operata dall’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni della legge n. 214 del 2011 (cosiddetto « decreto salva Italia » ha mostrato evidenti disparità nei confronti dei lavoratori appartenenti a settori diversi; innanzitutto l’intera riforma appare essere permeata da una logica assicurativa di tipo privatistico che penalizza soprattutto alcune fasce di lavoratori e che non rispecchia i principi e criteri ispiratori (di cui all’articolo 24, comma 1) di equità, flessibilità e trasparenza. La riforma presenta, infatti, diversi profili problematici: la certificazione dell’aumento della vita media (che in base ai dati Istat è di 79 anni per gli uomini e di 84 anni per le donne) comporterà, a partire dal 2013, l’inevitabile abbassamento dei coefficienti di trasformazione (ovvero il parametro corrispondente all’età del lavoratore nel momento in cui presenta la domanda di pensionamento, in base al quale si calcola la sua pensione lorda annuale a partire dal suo montante contributivo annuale); nei confronti dei dipendenti pubblici non opera l’incentivo della permanenza al lavoro fino a 70 anni (ad eccezione dei magistrati, degli avvocati, dei procuratori dello Stato e dei professori universitari ordinari), impedendo loro di incentivare ed aumentare l’importo della pensione con parametri applicati fino a 70 anni, contravvenendo anche al principio tutelato costituzionalmente (ex articolo 38, comma 2) dell’adeguatezza della prestazione; si ravvisa inoltre una evidente disparità anche tra i lavoratori appartenenti alla stessa categoria del settore privato: la tutela reale, prevista dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è applicata soltanto ai lavoratori occupati in aziende con più di quindici dipendenti, che possono utilizzare la flessibilità in uscita fino ai 70 anni, mentre restano invece esclusi i lavoratori privati occupati in aziende con meno di quindici dipendenti che possono dunque
essere licenziati al raggiungimento dell’età pensionabile di 66 anni; l’articolo 24, comma 15-bis, prevede lo « sconto » di due anni per il diritto alla pensione anticipata da 66 a 64 anni soltanto nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti del settore privato, mentre restano esclusi i dipendenti pubblici, i lavoratori autonomi del settore privato e quelli iscritti alla gestione separata,
in spregio al principio dell’uniformità; l’articolo 24, comma 11, consente ai lavoratori assunti dal 1° gennaio 1996 di conseguire la pensione anticipata all’età di 63 anni, anziché a 66 anni, a condizione
che abbiano maturato un importo mensile della prima rata di pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale, con un evidente danno poiché i dipendenti che in 20 anni di lavoro possono raggiungere un importo pensionistico così alto sono soltanto le alte qualifiche con una retribuzione mensile di oltre 4.500 euro; l’articolo 24, comma 20, ha abrogato l’istituto dell’esonero per i pubblici dipendenti (disciplinato dal decreto-legge 112 del 25 giugno 2008, articolo 72), che invece rappresentava una sorta di aspettativa a metà stipendio per il dipendente che, tra l’altro, poteva svolgere in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato; la riforma ha penalizzato gravemente anche il personale del comparto difesa-sicurezza del paese: la circolare n. 37/2012 dell’INPS dispone il venir meno della pensione di anzianità contributiva massima (prevista dal decreto legislativo 657 del 1997). Ciò rappresenta un profondo « vulnus » nei confronti delle Forze di polizia, in considerazione della specificità ancora in atto del loro rapporto d’impiego e delle obiettive peculiarità delle funzioni che svolgono nel e per il Paese; per quanto riguarda la questione dei lavoratori cosiddetti esodati il cui rapporto di lavoro si è risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione di accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all’esonero, essi potrebbero veder respinta la domanda di pensione dall’INPS per mancanza di adeguate risorse finanziarie, in conseguenza del limite massimo numerico imposto dal Governo; con la riforma previdenziale sono stati abrogati i requisiti agevolati che prevedevano per tali attività, uno « sconto » a determinate condizioni sull’età pensionabile e sull’anzianità contributiva –:
quali iniziative anche normative il Ministro interrogato ritenga opportuno adottare, in considerazione di quanto esposto in premessa, in modo da definire in modo equo ed armonico le disposizioni contenute nella riforma previdenziale ed impedire che siano ulteriormente penalizzate le situazioni previdenziali dei pubblici dipendenti.
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