martedì 2 agosto 2011

SI VINCE SOLO CON UN NUOVO PATTO SOCIALE

Il governo e la maggioranza vogliono dare un forte segnale di responsabilità dal punto di vista politico «e noi ci auguriamo che si evitino demagogia e qualunquismo». Per il deputato Pdl e vicepresidente della commissione Bilancio di Montecitorio, Giuseppe Marinello, «c’è bisogno di un atto di autorità e consapevolezza. Noi ce lo aspettiamo dall’opposizione perché deve essere classe dirigente. E si dà prova di esserlo anche quando si è all’opposizione e non quando si è al governo. In vista dell’incontro con le parti sociali ci auguriamo che tutti si rendano conto delle difficoltà che attraversano il mondo e il nostro Paese. I tempi della lotta di classe e dello scontro sociale sono passati. Bisogna quindi puntare a forti politiche di coesione che devono avere come fermo punto di riferimento le evoluzioni del pensiero. Anche dal punto di vista culturale non dobbiamo tornare indietro».

Onorevole Marinello, all’impegnativa due-giorni si arriverà con l’apertura a un “tavolo facilitatore” auspicato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi che ha illustrato una road-map in cinque punti per «accelerare i cambiamenti che servono alla crescita». È una buona base per l’impostazione del dialogo? 

Assolutamente sì. Sappiamo tutti che in Italia c’è una pressione fiscale incredibile e quindi provare a diminuirla vuol dire avere maggior disponibilità economica non solo per le famiglie ma soprattutto per quelle imprese che devono investire in internazionalizzazione, ricerca e sviluppo.

Che idea si è fatto di questa prima riflessione di Sacconi? 

Io addirittura penserei di estendere il concetto di riforma fiscale partendo da uno dei tabù della burocrazia che si è sempre preoccupata nel nostro Paese di gestire la politica fiscale e tributaria.

Qual è? 

È sempre stata restia al sistema del “controllo del controllore” all’americana. Noi dobbiamo andare in questa direzione per puntare a un’efficace lotta dell’evasione. Tutto ciò potrebbe portare un maggior gettito con il recupero di fasce considerevoli di evasione rafforzando il sistema nella logica di una riforma complessiva.

La prima fase del processo di internazionalizzazione è l’esportazione dei propri prodotti all’estero…

È ovvio che dobbiamo andare anche a sostenere l’esportazione dei nostri prodotti ma a questo obiettivo si può arrivare dopo un confronto serio con le parti sociali. Dobbiamo pensare anche al nostro sistema produttivo. Non possiamo essere il Paese che paga un costo energetico maggiore rispetto agli altri per le scelte fatte e anche confermate dal recente referendum, avere un costo del lavoro più alto e contemporaneamente pensare di battere gli altri Paesi sul piano della concorrenza.

Che cosa bisogna fare? 

Dobbiamo ritrattare l’intera questione con una sorta di patto sociale ma bisogna anche capire che non possiamo fare una concorrenza dal punto di vista della quantità: bisogna andare o a elaborare prodotti di alta tecnologia o esaltare prodotti di nicchia della nostra specificità che invece contengono alto valore aggiunto.

Poi? 

Poi ovviamente lanciare una stagione di privatizzazioni vere. Su questo tema dobbiamo ragionare bene: il nostro Paese da questo punto di vista è abbastanza “strano”.

Perché? 

In genere si vuol privatizzare tutto ciò che non ci riguarda ma quando ci si avvicina a qualcosa “alla nostra portata” allora notiamo strane reazioni.

Per esempio? 

L’ultimo referendum sull’acqua. Con la legge Ronchi si erano iniziate a introdurre, in maniera seppur assolutamente attenuata, una serie di norme che riguardavano la privatizzazione. Poi la risposta referendaria (della quale logicamente prendiamo atto) ha introdotto una serie di freni al processo che si stava attuando. Anche su questi temi dobbiamo avviare un confronto serio con proposte concrete perché non possiamo limitarci a enunciazioni di principio senza sapere cosa, come e quando privatizzare.

Altro punto: le liberalizzazioni…

Tutti si riempiono la bocca di belle parole ma molto spesso non si riesce a capire dove si vuol andare a parare. Non sono convinto che ciò che funziona in altri Paesi debba essere mutuato all’italiana in maniera speculare. Ci sono settori in cui bisogna avviare in maniera rapida una serie di riforme da fare non contro l’esistente. In periodo di crisi andando a destrutturare e quindi ad aggredire un sistema che nell’arco di decenni ha garantito tenuta e crescita, in un periodo di crisi tutto ciò può rappresentare un rischio perché alla fine non si vanno a fare gli interessi del Paese. A mio avviso bisogna ragionare con e non contro le categorie per individuare grazie alla legislazione vigente quali aperture poter considerare.

Un altro input di Sacconi tratta di banche e finanza d’impresa…

Il sistema bancario italiano è accusato di essere arretrato. Ma forse questa è la sua forza.

In che senso? 

La caratteristica che forse altri Paesi non hanno riguarda la sua solidità. Non è da escludere che la credibilità e la tenuta derivino proprio da quella arretratezza del sistema stesso. Quindi, in termini assoluti, può addirittura essere considerata un valore aggiunto.

Accanto agli input che cosa è necessario far capire agli italiani e soprattutto all’Europa? 

Bisognerebbe andare a ritrattare la partecipazione del nostro Paese all’Unione europea e non solo in termini di possibilità di sforare il rapporto Pil debito pubblico e quindi rivedere il patto di stabilità ma anche di ritrattare il nostro modo di essere in Europa. Da una parte non è pensabile gestire la moneta unica e tante politiche economiche diverse e tra loro anche conflittuali, dall’altra non possiamo pensare che il sistema Europa sia tanto rigido da pretendere di poter regolare o di preordinare la vita di ciascuno di noi.

Quali sarebbero le basi dalle quali ripartire?

Secondo me va rilanciata un’idea Europa che debba basarsi principalmente su identità e valori e non su regolamenti. Fino ad ora c’è stata un’idea molto burocratica. Ricordo le polemiche sui temi fondanti della Costituzione europea che contiene tutto tranne i valori fondanti che sono alla base della cultura occidentale e cristiano-cattolica.  

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