Al Ministro della giustizia –
Premesso che la Direzione generale risorse materiali beni e
servizi del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei
servizi del Ministero della giustizia si occupa di edilizia giudiziaria ed in
particolare: della predisposizione ed attuazione dei programmi per acquisto,
costruzione, ristrutturazione, adeguamento alle normative di sicurezza di cui
al decreto legislativo 8 aprile 2008, n. 81, e di prevenzione incendi, per gli
immobili demaniali da adibire ad uffici per l'amministrazione giudiziaria
centrale e periferica, laddove le attività di progettazione, affidamento e
direzione lavori, come regolate dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
e successive modificazioni, sono delegate ai provveditorati alle opere
pubbliche competenti per territorio; del coordinamento e della verifica
dell'iter tecnico-amministrativo per l'edilizia giudiziaria comunale e del
rilascio del parere favorevole per la concessione del mutuo da parte della
Cassa depositi e prestiti (legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 19); della
gestione degli interventi di manutenzione ordinaria (in adesione alla
convenzione Consip) degli uffici dell'amministrazione centrale e periferica a
Roma (legge 24 aprile 1941, n. 392, art. 1), nonché della verifica e del
controllo delle spese sostenute dai Comuni per il funzionamento degli uffici
giudiziari ai fini della determinazione ed erogazione del contributo statale
(di cui alla stessa legge n. 392); considerato che, a quanto risulta
all'interrogante: il tribunale di Gela (Caltanissetta) sorge su un terreno di
proprietà privata che, oltre 10 anni fa, è stato preso dal Comune, senza che
esso sia stato legittimamente espropriato; il palazzo della legalità, costruito
su un'area occupata abusivamente, è il paradosso dei paradossi in una città che
è tra le capitali indiscusse dell'abusivismo.
Un pasticcio che rischia di costare caro sia alle già
disastrate casse del Comune, sia a quelle del Ministero della giustizia. Il
presidio della legalità, peraltro in un territorio dalla forte concentrazione
di attività criminose, sorto sulla base di una procedura illegittima, è, ad
avviso dell'interrogante, solo l'ultima delle numerose performance perbeniste
lasciate in eredità all'attuale presidente della Regione Siciliana Crocetta;
paradosso dei paradossi, a detta dell'interrogante, lo "zampino" del
paladino della legalità, almeno (e solo) nell'arte oratoria, si manifesta anche
a distanza di anni: quando dalla teoria si passa ai fatti, il principio di
legalità viene archiviato nei cassetti delle scrivanie che contengono le
procedure amministrative a lui care; il vate dell'antimafia, che si limita al
controcanto della retorica, risulta, secondo l'interrogante, essere una
contraddizione vivente, la cui manifesta incoerenza rischia di avere ripercussioni
sui diritti di onesti cittadini; le famiglie Calafiore e Benvenuti, legittime
proprietarie dell'area in cui oggi sorge il tribunale, hanno visto riconosciuti
i propri diritti da ben 7 sentenze che hanno condannato il Comune alla
restituzione del bene e al pagamento dei danni; una vicenda paradossale
iniziata ai tempi della Giunta comunale Crocetta e finita a fine aprile 2017
con un'ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana, che apre le porte perfino alla possibile demolizione del nuovo
Tribunale di Gela, un edificio inaugurato appena 5 anni fa; nel 2007, la Giunta
comunale guidata allora dal sindaco Rosario Crocetta ha individuato un'area
accanto alla raffineria dell'Eni di proprietà delle famiglie Calafiore e
Benvenuti.
Il Comune ha avviato un primo esproprio, riconoscendo un
indennizzo che da subito i privati hanno contestato. Sono ricorsi al Tar e
hanno vinto in primo e secondo grado, perché le procedure di esproprio adottate
dall'amministrazione sarebbero illegittime; successivamente, è intervenuto il
Consiglio di giustizia amministrativa, che ha riconosciuto un risarcimento,
nominando, al contempo, un commissario. Proprio il commissario, attraverso la
perizia di un consulente, ha stimato in 7 milioni di euro la cifra da
risarcire: 3,5 milioni per il valore del terreno e altri 3,5 milioni per il
danno subito dall'occupazione illegittima; a seguito del successivo ricorso dei
privati, i giudici amministrativi hanno indicato 3 strade per sciogliere il
nodo: o un accordo, o un nuovo esproprio, con soldi che il Comune difficilmente
potrebbe reperire, oppure, scrivono i giudici, "il commissario ad acta
dovrebbe porre in essere l'attività esecutiva materiale, ossia la demolizione
del palazzo di giustizia, in danno delle amministrazioni intimate ma con onore
di anticipazione delle spese a carico dei ricorrenti". In una parola:
demolire i fabbricati con le ruspe; ritenuto che, per quanto risulta: le
famiglie ingiustamente private dei loro beni, assumendo un ruolo estremamente
responsabile, hanno ribadito come le stesse non abbiano mai richiesto la
demolizione del palazzo di giustizia di Gela, così come non si sono mai
opposte, in passato, all'ordinanza comunale di esproprio dei terreni per la
costruzione del presidio giudiziario. Hanno semplicemente richiesto, e finora
mai ottenuto, o una congrua valutazione dell'area che è stata sottratta e non
ancora pagata, o la sua restituzione; in 14 anni di contenzioso,
l'amministrazione comunale di Gela non ha mai convocato i privati per un confronto
sereno e costruttivo sulla vicenda. Hanno offerto inizialmente un indennizzo di
35 euro al metro quadrato. Cifra a detta dell'interrogante inaccettabile,
perché lo stesso Comune faceva pagare sui beni l'Ici per un valore stimato
dall'ufficio tecnico erariale di 208 euro al metro quadrato.
Quindi, l'area veniva valutata scadente quando occorreva
liquidare l'indennizzo di esproprio, ma pregiata quando si trattava di
incassare le tasse; oltre tutto, agendo in modo sconsiderato e del tutto
illegittimo, il Comune di Gela è giunto al punto di demolire un fabbricato di
circa 368 metri quadri, appartenente ai medesimi proprietari del terreno,
neppure mai inserito nei piani particellari allegati alle procedure ablatorie.
Rispetto a ciò, il giudice amministrativo ha rilevato il difetto di competenza
del vicesindaco di Gela pro tempore , avvocato Elisa Nuara, ravvisando gli
estremi dell'abuso d'ufficio; sempre in difetto di legittimazione, su tale area
di proprietà privata, il Comune ha consentito la costruzione di due edifici,
rispettivamente adibiti ad ufficio postale e bar, che, in difetto di
qualsivoglia titolo giuridico, sono stati locati dal Comune di Gela a terzi; ad
oggi, da un punto di vista catastale, la proprietà risulta, ovviamente, ancora
intestata alle famiglie predette che sul bene pagano ancora tutti i tributi
dovuti; come sottolineato anche dal presidente del tribunale, si tratta di una
situazione "kafkiana", che presenta una sola via d'uscita: occorre
che il Comune trovi un accordo con i proprietari e paghi gli espropri. Secondo
stime di massima, occorrerebbero dai 4 agli 8 milioni di euro; ritenuto,
inoltre, che, nonostante l'ammontare di denaro pubblico utilizzato per la
costruzione del tribunale, tra cui gli svariati milioni di euro spesi come
compenso per il progettista e direttore dei lavori, ingegner Manlio Averna,
sembra paradossale, a detta dell'interrogante, che la struttura presenti già
gravi danni strutturali; sembrerebbero esserci tutti gli elementi per parlare
di insana gestione erariale di soldi pubblici da parte dell'ente comunale,
si chiede di sapere: se il Ministro in indirizzo sia a
conoscenza delle gravi irregolarità commesse in relazione alla realizzazione
del Tribunale di Gela;
se non ritenga opportuno, in base alle proprie competenze,
anche alla luce delle sentenze già passate in giudicato, controllare le
attività di tutti gli organi preposti alla progettazione e alla costruzione
dell'opera; se non ritenga opportuno, nei limiti della propria competenza,
inviare a Gela degli ispettori, al fine di trovare soluzioni che ripristinino
lo stato di legalità e garantiscano alle famiglie di fatto espropriate dei beni
il giusto risarcimento;
se non ritenga opportuno, per quanto di competenza,
presentare un esposto alla Corte dei conti, al fine di una valutazione: a)
dell'operato dell'ente comunale nella gestione dei fondi pubblici utilizzati
per la realizzazione dell'opera; b) della congruità fra la remunerazione
economica dei professionisti responsabili dell'esecuzione della struttura e il
risultato raggiunto.
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