giovedì 4 maggio 2017

INTERROGAZIONE SUL TRIBUNALE DI GELA

Al Ministro della giustizia
Premesso che la Direzione generale risorse materiali beni e servizi del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi del Ministero della giustizia si occupa di edilizia giudiziaria ed in particolare: della predisposizione ed attuazione dei programmi per acquisto, costruzione, ristrutturazione, adeguamento alle normative di sicurezza di cui al decreto legislativo 8 aprile 2008, n. 81, e di prevenzione incendi, per gli immobili demaniali da adibire ad uffici per l'amministrazione giudiziaria centrale e periferica, laddove le attività di progettazione, affidamento e direzione lavori, come regolate dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono delegate ai provveditorati alle opere pubbliche competenti per territorio; del coordinamento e della verifica dell'iter tecnico-amministrativo per l'edilizia giudiziaria comunale e del rilascio del parere favorevole per la concessione del mutuo da parte della Cassa depositi e prestiti (legge 30 marzo 1981, n. 119, art. 19); della gestione degli interventi di manutenzione ordinaria (in adesione alla convenzione Consip) degli uffici dell'amministrazione centrale e periferica a Roma (legge 24 aprile 1941, n. 392, art. 1), nonché della verifica e del controllo delle spese sostenute dai Comuni per il funzionamento degli uffici giudiziari ai fini della determinazione ed erogazione del contributo statale (di cui alla stessa legge n. 392); considerato che, a quanto risulta all'interrogante: il tribunale di Gela (Caltanissetta) sorge su un terreno di proprietà privata che, oltre 10 anni fa, è stato preso dal Comune, senza che esso sia stato legittimamente espropriato; il palazzo della legalità, costruito su un'area occupata abusivamente, è il paradosso dei paradossi in una città che è tra le capitali indiscusse dell'abusivismo.
Un pasticcio che rischia di costare caro sia alle già disastrate casse del Comune, sia a quelle del Ministero della giustizia. Il presidio della legalità, peraltro in un territorio dalla forte concentrazione di attività criminose, sorto sulla base di una procedura illegittima, è, ad avviso dell'interrogante, solo l'ultima delle numerose performance perbeniste lasciate in eredità all'attuale presidente della Regione Siciliana Crocetta; paradosso dei paradossi, a detta dell'interrogante, lo "zampino" del paladino della legalità, almeno (e solo) nell'arte oratoria, si manifesta anche a distanza di anni: quando dalla teoria si passa ai fatti, il principio di legalità viene archiviato nei cassetti delle scrivanie che contengono le procedure amministrative a lui care; il vate dell'antimafia, che si limita al controcanto della retorica, risulta, secondo l'interrogante, essere una contraddizione vivente, la cui manifesta incoerenza rischia di avere ripercussioni sui diritti di onesti cittadini; le famiglie Calafiore e Benvenuti, legittime proprietarie dell'area in cui oggi sorge il tribunale, hanno visto riconosciuti i propri diritti da ben 7 sentenze che hanno condannato il Comune alla restituzione del bene e al pagamento dei danni; una vicenda paradossale iniziata ai tempi della Giunta comunale Crocetta e finita a fine aprile 2017 con un'ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che apre le porte perfino alla possibile demolizione del nuovo Tribunale di Gela, un edificio inaugurato appena 5 anni fa; nel 2007, la Giunta comunale guidata allora dal sindaco Rosario Crocetta ha individuato un'area accanto alla raffineria dell'Eni di proprietà delle famiglie Calafiore e Benvenuti.
Il Comune ha avviato un primo esproprio, riconoscendo un indennizzo che da subito i privati hanno contestato. Sono ricorsi al Tar e hanno vinto in primo e secondo grado, perché le procedure di esproprio adottate dall'amministrazione sarebbero illegittime; successivamente, è intervenuto il Consiglio di giustizia amministrativa, che ha riconosciuto un risarcimento, nominando, al contempo, un commissario. Proprio il commissario, attraverso la perizia di un consulente, ha stimato in 7 milioni di euro la cifra da risarcire: 3,5 milioni per il valore del terreno e altri 3,5 milioni per il danno subito dall'occupazione illegittima; a seguito del successivo ricorso dei privati, i giudici amministrativi hanno indicato 3 strade per sciogliere il nodo: o un accordo, o un nuovo esproprio, con soldi che il Comune difficilmente potrebbe reperire, oppure, scrivono i giudici, "il commissario ad acta dovrebbe porre in essere l'attività esecutiva materiale, ossia la demolizione del palazzo di giustizia, in danno delle amministrazioni intimate ma con onore di anticipazione delle spese a carico dei ricorrenti". In una parola: demolire i fabbricati con le ruspe; ritenuto che, per quanto risulta: le famiglie ingiustamente private dei loro beni, assumendo un ruolo estremamente responsabile, hanno ribadito come le stesse non abbiano mai richiesto la demolizione del palazzo di giustizia di Gela, così come non si sono mai opposte, in passato, all'ordinanza comunale di esproprio dei terreni per la costruzione del presidio giudiziario. Hanno semplicemente richiesto, e finora mai ottenuto, o una congrua valutazione dell'area che è stata sottratta e non ancora pagata, o la sua restituzione; in 14 anni di contenzioso, l'amministrazione comunale di Gela non ha mai convocato i privati per un confronto sereno e costruttivo sulla vicenda. Hanno offerto inizialmente un indennizzo di 35 euro al metro quadrato. Cifra a detta dell'interrogante inaccettabile, perché lo stesso Comune faceva pagare sui beni l'Ici per un valore stimato dall'ufficio tecnico erariale di 208 euro al metro quadrato.
Quindi, l'area veniva valutata scadente quando occorreva liquidare l'indennizzo di esproprio, ma pregiata quando si trattava di incassare le tasse; oltre tutto, agendo in modo sconsiderato e del tutto illegittimo, il Comune di Gela è giunto al punto di demolire un fabbricato di circa 368 metri quadri, appartenente ai medesimi proprietari del terreno, neppure mai inserito nei piani particellari allegati alle procedure ablatorie. Rispetto a ciò, il giudice amministrativo ha rilevato il difetto di competenza del vicesindaco di Gela pro tempore , avvocato Elisa Nuara, ravvisando gli estremi dell'abuso d'ufficio; sempre in difetto di legittimazione, su tale area di proprietà privata, il Comune ha consentito la costruzione di due edifici, rispettivamente adibiti ad ufficio postale e bar, che, in difetto di qualsivoglia titolo giuridico, sono stati locati dal Comune di Gela a terzi; ad oggi, da un punto di vista catastale, la proprietà risulta, ovviamente, ancora intestata alle famiglie predette che sul bene pagano ancora tutti i tributi dovuti; come sottolineato anche dal presidente del tribunale, si tratta di una situazione "kafkiana", che presenta una sola via d'uscita: occorre che il Comune trovi un accordo con i proprietari e paghi gli espropri. Secondo stime di massima, occorrerebbero dai 4 agli 8 milioni di euro; ritenuto, inoltre, che, nonostante l'ammontare di denaro pubblico utilizzato per la costruzione del tribunale, tra cui gli svariati milioni di euro spesi come compenso per il progettista e direttore dei lavori, ingegner Manlio Averna, sembra paradossale, a detta dell'interrogante, che la struttura presenti già gravi danni strutturali; sembrerebbero esserci tutti gli elementi per parlare di insana gestione erariale di soldi pubblici da parte dell'ente comunale,
si chiede di sapere: se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza delle gravi irregolarità commesse in relazione alla realizzazione del Tribunale di Gela;
se non ritenga opportuno, in base alle proprie competenze, anche alla luce delle sentenze già passate in giudicato, controllare le attività di tutti gli organi preposti alla progettazione e alla costruzione dell'opera; se non ritenga opportuno, nei limiti della propria competenza, inviare a Gela degli ispettori, al fine di trovare soluzioni che ripristinino lo stato di legalità e garantiscano alle famiglie di fatto espropriate dei beni il giusto risarcimento;

se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, presentare un esposto alla Corte dei conti, al fine di una valutazione: a) dell'operato dell'ente comunale nella gestione dei fondi pubblici utilizzati per la realizzazione dell'opera; b) della congruità fra la remunerazione economica dei professionisti responsabili dell'esecuzione della struttura e il risultato raggiunto.

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