di Adalberto Signore
Un «confronto cordiale» era stato il ragionamento di Berlusconi ma «assolutamente inconcludente». E nel day after lo scenario non cambia, anzi va certamente peggiorando davanti al terremoto che scoppia all'interno del Pd.
Dopo l'inchiesta Serravalle che a cinque anni di distanza sbatte su D'Alema e lambisce Bersani e dopo lo scontro frontale tra il segretario Pd e Renzi, infatti, alle perplessità già note si aggiunge un altro timore. Quello, spiega Berlusconi nelle sue conversazioni private, che Bersani non abbia il polso della situazione e non sia più in grado di garantire a nome del Pd. La sua segreteria, insomma, «è ormai troppo fragile» per considerarla credibile. Non solo fragile, ma pure «immobile».
A 45 giorni dal voto, è la critica che il leader Pdl muove al segretario Pd, «ancora non c'è un governo». E sul punto sono in molti a via dell'Umiltà ad insistere, da Brunetta alla Gelmini, passando per Gasparri, la Santanché e la Bernini. In un giorno, peraltro, in cui arriva il warning sia del presidente della Confindustria Squinzi sia di Bruxells che punta il dito sul rischio contagio per un'Italia considerata vulnerabile allo choc dei mercati.
L'obiettivo del Pdl, insomma, è quello di mettere nero su bianco che il responsabile dello stallo è solo e soltanto Bersani. Berlusconi, d'altra parte, sul punto ha ormai la stesso posizione da settimane. «Solo un governo di larghe intese ripeteva in privato ancora ieri può mettere l'Italia nella condizione di reagire seriamente. Un governicchio con numeri risicati, se mai nascesse, non avrebbe la forza di farsi valere in sede europea, mentre un esecutivo Pd-Pdl-Scelta civica che rappresentasse il 70% dell'elettorato avrebbe persino la forza di rimettere in discussione il patto di stabilità. Ecco perché è questa l'unica strada ragionevole».
Una via che Bersani non sembra affatto intenzionato a prendere. Ecco perché Berlusconi è dell'idea che nonostante il faccia a faccia con il segretario del Pd l'ipotesi elezioni anticipate stia guadagnando terreno. Perché se non c'è un governo di larghe intese con dentro esponenti politici è al momento la linea del Cavaliere l'unica alternativa sono le urne. «Un esecutivo di convergenza o il voto a fine giugno», ripeteva ieri ai suoi il Cavaliere.
Con la solita dialettica tra falchi e colombe che nel partito ieri ha ripreso quota. I primi convinti che la trattativa debba essere complessiva Quirinale-governo, i secondi più propensi ad andare per gradi e affrontare un problema alla volta. Ma con tutti seppure con sfumature diverse convinti che Bersani sia ormai troppo debole come interlocutore. Di più, forse anche tentati dall'affondare il colpo sul segretario Pd cercando di metterlo definitivamente al tappeto. Potrebbe essere questa la ragione per cui qualche giorno fa a via dell'Umiltà si affrontavano le vicende interne al Pd tenendosene a distanza perché «non si entra in casa d'altri» mentre ieri nel Pdl si sprecavano le critiche al segretario del Pd. Non sembrano fondati, quindi, i timori di chi tra Palazzo Grazioli e via dell'Umiltà pensa che Bersani possa tentare il blitz sul Quirinale per sedere lui sulla poltrona che più conta. «Se fosse questo l'obiettivo spiega chi a via del Plebiscito è di casa allora la scellerata strategia del segretario del Pd avrebbe un qualche senso...». In verità, il problema è che Bersani non solo non avrebbe i voti né del Pdl né del M5S. Ma nel segreto dell'urna sarebbe vittima anche del fuoco amico di almeno 50 renziani del Pd. Per lui, insomma, tentare la scalata al Colle sarebbe a rischio suicidio.
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