giovedì 31 marzo 2016

CONTRO IL TRAFFICO ILLEGALE DI AVORIO, IN ITALIA IL PRIMO IVORY CRUSH

Con il primo ‘Ivory Crush’ italiano il Ministero dell’Ambiente, il Corpo Forestale dello Stato e la ‘Elephant Action League’ annunciano la propria attiva partecipazione alla lotta contro il bracconaggio, il traffico di avorio e le organizzazioni criminali e terroristiche che traggono profitto da queste attività illegali. Presente il ministro Galletti: “Europa e Italia determinate contro pratiche barbare che foraggiano criminali”.
Dopo gli eventi a Times Square a New York e sotto la Torre Eiffel a Parigi, anche l’Italia aderisce alla campagna internazionale di distruzione dell’avorio: domani grazie al Ministero dell’Ambiente, il Corpo Forestale dello Stato e la ONG ‘Elephant Action League’ il primo “Ivory Crush” d’Italia diventerà realtà.
Dalle ore 17.00, nella suggestiva cornice del Circo Massimo a Roma, alla presenza del Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, del capo del Corpo Forestale dello Stato Cesare Patrone, del Commissario Prefettizio di Roma Francesco Paolo Tronca e dei fondatori di Elephant Action League Andrea Crosta e Gilda Moratti, oltre mezza tonnellata di avorio confiscato verrà distrutta da una macchina industriale schiacciasassi, per poi essere smaltito definitivamente. 
Presenti anche i presidenti delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato Ermete Realacci e Giuseppe Marinello, il sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani, molti ospiti internazionali.
Il commercio internazionale di avorio, illegale dal 1989, è causa non solo del bracconaggio degli elefanti - ogni anno in Africa ne vengono massacrati per questo motivo oltre 35.000 - ma è anche una delle principali fonti di finanziamento delle criminalità organizzata, milizie e gruppi terroristici in Africa, con un enorme costo umano.
Molti paesi hanno simbolicamente distrutto l’avorio confiscato negli anni durante cerimonie pubbliche nelle più importanti città del mondo e in particolar modo, negli ultimi due anni questo “movimento” è diventato sempre più forte, nello sforzo di innescare cambiamenti a livello politico e di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi di tutto il mondo.
I paesi che hanno pubblicamente distrutto i propri stock di avorio (interamente o parzialmente) includono gli USA, Cina, Francia, Belgio, Filippine, Kenya, Gabon, Etiopia e ultimamente Sri Lanka e Malawi.
Durante la cerimonia al Circo Massimo sarà passato il testimone ad un rappresentate del Kenya, che il 30 Aprile brucerà la più grande quantità di avorio mai distrutta fino ad ora, ben 120 tonnellate.
Con questo Ivory Crush a Roma anche l’Italia si unisce a questa campagna contro il traffico illegale di avorio e a favore della protezione degli elefanti e delle comunità locali africane sfruttate da network internazionali di criminali e trafficanti.

FERMARE LE TRIVELLE SI PUO'!


martedì 29 marzo 2016

TRIVELLE: CONFERENZA STAMPA AL SENATO

Una conferenza stampa sul tema “Fermare le trivelle si può, il 17 aprile vota sì”  si terrà domani 30 marzo, alle 15, in Sala Nassirya, al Senato.  
Parteciperanno i senatori Giuseppe Marinello, Loredana De Petris, Laura Puppato, Emilio Floris,  Paolo Tosato, Giuseppe Compagnone, Francesco Bruni, Giuseppe Ruvolo, Francesco Amoruso,  Giovanni Mauro, Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino, Maurizio Buccarella.
Saranno inoltre presenti Gaetano Armao ed i promotori del Comitato siciliano per il Sì al referendum contro le trivellazioni e rappresentanti delle associazioni ambientaliste.
Dopo l’introduzione si procederà con gli spunti dei relatori e il confronto con i giornalisti.

venerdì 18 marzo 2016

GIORNATA NAZIONALE DELLA MEMORIA E IN RICORDO DELLE VITTIME DI MAFIA: IL MIO INTERVENTO IN AULA

Istituzione della «Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Intervento in aula

   Onorevoli senatori, il disegno di legge che oggi trattiamo e che stiamo per approvare mi coinvolge direttamente e personalmente da siciliano. Ricordo ancora quando, quarant'anni orsono, superato l'esame di maturità, arrivai nella città di Palermo per iscrivermi all'università. Ricordo cos'era Palermo in quegli anni. Personalmente, poteva capitare di camminare nelle strade del centro - non nelle desolate periferie - finanche in piazza Politeama o davanti al teatro Massimo e assistere a scene incredibili. Quando non si assisteva a scene incredibili, spesso si udiva nel centro della città il tragico rumore delle armi da fuoco. Io stesso ricordo - e talvolta mi sovviene con terrore durante la notte - il rumore terrificante dei kalashnikov che vennero usati per la prima volta contro le vetrine di una nota gioielleria del centro, per effettuare una tragica prova balistica (era la prima volta che arrivavano quelle armi in Sicilia), per poi procedere a un numero enorme di omicidi.
Sappiamo tutti cosa rappresenti, in termini di male assoluto, la mafia in Sicilia, la 'ndrangheta in Calabria, la camorra in Campania, la sacra corona unita in Puglia e tutte le mafie nel resto del Paese e anche al di fuori dei confini nazionali. Sappiamo cosa hanno prodotto in termini di devastazione, di disegualità, di devastazione (uso ancora questo termine) delle coscienze, della socialità e in termini di diseconomia.
Sappiamo tutti quanto sia lungo l'elenco delle vittime, iniziando dal 1893 (omicidio Notarbartolo) e dal 1909 (omicidio Petrosino). È una serie infinita di vittime e di omicidi. Ricordare tutti i nomi sarebbe quasi impossibile e supererebbe non soltanto il tempo a mia disposizione, ma quello di tutti i Gruppi parlamentari. Ma alcuni nomi vanno ricordati: il procuratore Scaglione, Peppino Impastato, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, Rocco Chinnici, Fava, Rosario Livatino, Giovanni Falcone con la moglie Francesco Morvillo, Paolo Borsellino, gli agenti delle loro scorte, l'avvocato Famà e altri ancora.
Come poi non ricordare la tragica e lunghissima serie di sindacalisti ammazzati dalla mafia dal 1945 al 1966: un elenco lunghissimo, quasi impossibile da leggere. Faccio soltanto alcuni nomi: Scalia, Puntarello, Castiglione, Azoti, Casarrubea, Placido Rizzotto, Spagnolo, Bongiorno e il mio concittadino Accursio Miraglia, trucidato a Sciacca il 4 gennaio 1947.
Fino ad oggi abbiamo lasciato all'iniziativa delle comunità locali, degli enti locali e delle associazioni il ricordo ogni anno delle vittime della mafia, un ricordo che serve a tenere vivo nel nostro Paese la memoria, affinché si sviluppi una coscienza che in ogni cittadino, in ogni ragazzo e in ogni giovane faccia sorgere forte la volontà di dire no e di opporsi con determinazione a tutte le mafie.
Sappiamo come ogni anno il 21 marzo, primo giorno di primavera, giorno che leghiamo alla memoria di San Benedetto e quindi alla rinascita dell'Europa e del mondo allora civile rispetto alla barbarie delle invasioni e dell'oscurità seguita alla caduta dell'impero romano, Libera celebri la giornata della memoria e dell'impegno, il ricordo delle vittime innocenti della mafia.
Dal 1996, ogni anno, in una città diversa, viene letto un elenco di circa novecento nomi di vittime innocenti. In quell'elenco ci sono nomi che ci danno subito un'emozione fortissima; ci sono delle vittime il cui nome ci dice poco, vittime sconosciute ai più. Ma proprio per questo, è ancora più forte il dovere di ricordarle tutte unendole in un unico tragico filo rosso di sangue, di violenza, di terrore. Quest'anno la giornata si svolgerà a Messina e, in contemporanea, in tanti luoghi del nostro Paese. E la giornata del ricordo delle vittime, che come dicevo si svolgerà all'unisono su tutto il territorio nazionale, come sempre consentirà di rendere vivo il ricordo di quei nomi, di quei sacrifici, di quei martiri.
Di fronte a un fenomeno così importante, che coinvolge, scuole, istituzioni, associazioni, i familiari delle vittime e i singoli cittadini, credo che vada accolto con grande soddisfazione il lavoro svolto dai colleghi in Commissione affari costituzionali e il lavoro che oggi stiamo qui svolgendo con un voto che mi auguro più ampio possibile, perché questo è un provvedimento che merita, nell'interesse del Paese - e uso questa espressione forse un po' aulica e desueta - una grande condivisione.
Con questa legge in tutto il territorio nazionale, presso scuole, università, tribunali, enti territoriali e in tutte le istituzioni, si potranno svolgere iniziative, anche in collaborazione con forze dell'ordine, con la magistratura, con associazioni imprenditoriali, antiracket e antimafia, dirette proprio a far nascere e coltivare nell'opinione pubblica e nelle giovani generazioni la memoria delle vittime della mafia, ciò che rappresenta la loro storia.
È giusto che non si dimentichi, e soltanto con l'istituzionalizzazione di tale giornata si sancirà un'altra tappa dello Stato nella lotta contro la mafia.
Quella lotta ha già raggiunto grandi risultati: l'arresto dei latitanti, la disarticolazione dell'organizzazione su vaste parti del territorio, la confisca dei beni, l'evidenziare zone grigie di contiguità, l'istituzionalizzazione nel nostro codice del 41- bis, il codice antimafia, l'istituzione del fondo unico giustizia. Sono tutte cose già fatte.
Ma è ancora più importante non soltanto fare queste cose, segnali che la politica ha già dato, ma soprattutto sottolineare come l'antimafia sia diventata e possa ancora rappresentare un valore unificante e caratterizzante della nostra identità nazionale. Si stabilisce quindi che in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, in occasione della giornata, si promuoveranno, nell'ambito della propria autonomia e delle rispettive competenze, iniziative volte alla sensibilizzazione sul valore storico, istituzionale e sociale della lotta alla mafia e delle vittime della criminalità organizzata.
Emerge chiaramente, signora Presidente, come tali iniziative rappresenteranno quindi non soltanto una mera occasione celebrativa, ma l'opportunità per riflettere, approfondire e discutere di un problema purtroppo ancora attuale e, soprattutto, si ha la fondata speranza di potere contribuire a promuovere tra gli studenti e tra i giovani il sentimento della legalità e di appartenenza ad una patria che accomuna tutti cittadini attraverso valori condivisi.
Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono ormai trascorsi più di venti anni dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio che, con la morte di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Paolo Borsellino e degli uomini della loro scorta, hanno segnato la nostra generazione. E oggi più che mai è forte in tutti noi la consapevolezza che per poter combattere la cultura mafiosa e le sue manifestazioni è necessario avere contezza della storia e delle radici e soprattutto far conoscere questa storia e queste radici ai giovani.
Chi non ha memoria del proprio passato è destinato ad un incerto futuro e proprio noi siamo convinti con determinazione che questa giornata della memoria contribuirà a far nascere e a far crescere una nuova generazione di italiani. È per questo che convintamente il Gruppo al quale appartengo, il Gruppo di Area Popolare, Nuovo Centro Destra e UDC, voterà convintamente questo disegno di legge.

giovedì 17 marzo 2016

I TANTI LACCI CHE BLOCCANO L'ITALIA di Susanna Tamaro

Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da questo Stato?

Da qualche mese i telegiornali ci bombardano di notizie incoraggianti sulla continua crescita del nostro Paese. Sale il numero degli occupati a tempo indeterminato, aumentano, seppure di cifre minuscole, i consumi e la crisi sembra ormai un brutto sogno alle nostre spalle. Ma è davvero così? Vivo da molti anni nella provincia del Centro Italia e quando esco di casa, parlo con le persone la sensazione è di segno completamente opposto. Dopo otto anni di crisi, i pochi risparmi messi da parte sono stati ormai bruciati, il possesso di una casa — vuoi per il mutuo che vi grava sopra, vuoi per l’impossibilità di vendere dato il totale stallo del mercato — si è trasformata in una vera e propria jattura. Possedere un immobile è ormai diventato un fattore di povertà. Le famiglie riescono a vivere, o meglio a sopravvivere, finché c’è un nonno in casa che ha una pensione, ormai l’unico reddito certo. Il mondo delle scintillanti start up è sideralmente lontano. I giovani contemplano i loro inutili e fantasiosi diplomi di lauree triennali — ottenuti con non pochi sacrifici da parte delle famiglie — che si sono rivelati alla fine meno efficaci della diavolina per accendere il fuoco. Il foglio di annunci economici della zona è pieno di laureati 110 e lode che si offrono per ripetizioni scolastiche o qualsiasi altro lavoro. Fantasie di un passeggiatore solitario? Non proprio, dato che l’Istat conferma che il Pil pro capite dell’Umbria è sceso del -8,37%. Più che sceso, direi precipitato. Il più basso d’Italia. E oltre al Pil più basso, l’Umbria sembra avere un altro privilegio: il più alto numero di persone impiegate nella pubblica amministrazione in relazione alla densità abitativa della popolazione.
Umbria desolata?
Eppure l’Umbria non è una landa desolata, devastata dalla malavita. È, o almeno era, una regione baciata dalla fortuna. Gode di un grande patrimonio storico artistico, oltre che di un paesaggio incantevole — seppure intaccato dagli orrori delle lottizzazioni — ancora integro e pieno di fascino, di una natura collinare e montuosa che sarebbe il paradiso per le piccole coltivazioni di qualità e per il turismo verde. Allora, come è possibile questo stato di gravissima sofferenza economica e di inerzia produttiva? È certo che la prima randellata sulla testa delle famiglie è stata inferta dal cambio di moneta che ha dimezzato di colpo il valore degli stipendi, con relativa capacità di acquisto. E poi, a questo primo imprevisto e drastico declassamento, lenti e inesorabili, si sono aggiunti i morsi della crisi che hanno eroso con diligente pazienza, anno dopo anno, tutti i tesoretti accumulati dalle famiglie. «Non ce la faceva più» è il commento che sento mormorare più di frequente quando mi trovo davanti a un’altra saracinesca abbassata a Orvieto. «Non ce la faceva più» si bisbiglia davanti all’ennesima lottizzazione lasciata incompiuta: le bocche nere delle porte e delle finestre, i piloni di cemento rimarranno lì a testimoniare la scelleratezza di un’epoca di incoscienza. «Non ce la faceva più» potrebbe essere il leitmotiv che accompagna l’inesorabile declino di un intero mondo fino a ieri attivo e operoso. Basta un breve viaggio nelle campagne dell’Umbria per accorgersi del gran numero di uliveti non più curati, di vigneti lasciati malinconicamente inselvatichire. Per un privato, possedere un uliveto, spesso ereditato, è ormai una vera maledizione. La raccolta delle olive è un’operazione lunga e faticosa e, fino a qualche anno fa, era possibile unicamente grazie alle grandi famiglie e alle comunità del posto che si rendevano disponibili a dare una mano. Ma ora non è più fattibile.
Uva, olive e burocrazia
Per legge, infatti, sui propri terreni possono lavorare soltanto i parenti strettissimi, padri e figli. Qualsiasi altra persona, lontano cugino, amico, vicino di casa, deve essere regolarmente retribuito. Così, chi chiamava gli amici a raccogliere le olive, regalando alla fine parte del raccolto per farsi l’olio non lo fa più perché rischia una multa in grado di abbattere un bilancio familiare. Produrre l’olio per trarne un guadagno dalla vendita è possibile forse ormai soltanto a chi possiede enormi estensioni di olivi e macchine in grado di effettuare la raccolta. L’uva e le olive condividono lo stesso destino. Per ambedue, i controlli sui lavoranti sono serrati e implacabili. In tempo di vendemmia, il cielo è spesso solcato da elicotteri che fotografano i fedifraghi che si fanno aiutare dagli amici, dai cugini di secondo grado o dal fidanzato della figlia. Non solo, a dare man forte arrivano anche le truppe via terra, bloccando la vendemmia per un giorno intero, se non due, alla ricerca del sicuro abuso compiuto. Così, dopo diversi anni di queste continue incursioni un mio conoscente, pur risultando ogni volta totalmente in regola, alla fine ha deciso di comprare la macchina per la vendemmia. La macchina naturalmente funziona benissimo ma dodici operai sono rimasti, e rimarranno per sempre, a casa. L’agricoltura di qualità sarebbe una grande opzione per queste zone collinari. Sarebbe, se si permettesse di farla, se non ci fosse una pletora di leggi, leggine, controleggi, balzelli, ordinanze, contro ordinanze gestite da un gran numero di enti spesso in contrasto tra loro — Comunità Montana, Forestale, Asl, Provincia, Regione, ministero dell’Agricoltura, Unione Europea e chi più ne ha più ne metta — che attuano degli ossessivi controlli degni di uno Stato totalitario. Controlli che avrebbero il fine ultimo di circoscrivere gli abusi ma che in realtà servono soltanto ad esasperare e a legare le mani a chi vuole intraprendere qualcosa, mentre i disonesti, i veri criminali, continuano a fare indisturbati quello che vogliono: frodi alimentari, caporalato, sottrazioni truffaldine all’Europa, ecc.
Artigiani e multe
L’ultima volta che ero dalla parrucchiera, nel brevissimo tempo del mio taglio di capelli sono entrate due madri chiedendo la possibilità di far assistere gratuitamente al lavoro le loro figlie adolescenti per imparare il mestiere. Con desolazione, la proprietaria ha dovuto rispondere che lo avrebbe fatto molto volentieri, ma che non poteva perché, se fosse arrivato un controllo, avrebbe rischiato una multa devastante. La stessa cosa mi hanno ripetuto diversi artigiani, falegnami, fabbri, desiderosi di avere a bottega un apprendista a cui tramandare la loro arte, ma impossibilitati a farlo per via dell’obbligo del bagno, dell’antibagno e del peso fiscale che li costringeva a dover comunque retribuire il ragazzo, anche se questi era del tutto digiuno dell’arte e spesso maldestro. Io stessa gestisco una piccola attività turistica e questo mi ha permesso di capire le vere ragioni della paralisi della società italiana molto più di un saggio di economia o di un summit di specialisti sulla crisi. Bisogna provare a fare le cose nel nostro Paese per toccare con mano l’impossibilità di farle. Nessuna meraviglia che il Word Economic Forum nel suo Global Competitiveness Index ci ponga al 49° posto nella classifica internazionale che misura la competitività, lo sviluppo e l’innovazione, in compagna del Kazakistan e delle Filippine. Per ottenere un semplice certificato dalla Comunità Montana dell’Umbria — ma non erano state abolite? — ho dovuto aspettare più di un anno e se alla fine sono riuscita ad ottenerlo è solo grazie a qualcuno che conosceva qualcuno che, a sua volta, conosceva qualcuno... Non averlo ottenuto in tempo, naturalmente, mi ha danneggiato ma di questo danno non posso rifarmi in alcun modo e, come me, immagino verranno penalizzate tutte le persone che intendono intraprendere un’attività produttiva per cercare di porre rimedio alla devastazione sociale ed economica che ha invaso queste terre. Sono andata al Consorzio Agrario per comprare i prodotti per il trattamento primaverile del frutteto, della vigna e dell’uliveto e ho scoperto che non potevo più farlo. Non sto parlando di prodotti tossici — per cui c’è stato sempre giustamente l’obbligo di un patentino — ma di sostanze umilmente arcaiche come la poltiglia bordolese e l’olio minerale. Per decisione del ministero, ora per comprare il verderame bisogna frequentare un corso che dura tre giorni e costa 200 euro, con relativo esame finale. Le piante però non so se saranno così gentili da aspettare la frequenza del corso e l’ottenimento del diploma, prima di farsi invadere dalle muffe, dai funghi e dagli afidi.
Il calvario degli onesti
Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da questo Stato che tra un po’ vorrà decidere anche di quanti centimetri sarà il fazzoletto in cui dovremo soffiarci il naso? L’Italia è un Paese popolato per la maggior parte da persone oneste, di buona volontà e di grande inventiva. Le aziende familiari, le piccole realtà sono state, fino all’arrivo della crisi, l’intelaiatura sana della nostra società. Ma ora non è più così e pare che la politica, al di là dei programmi e dei proclami, non se ne voglia accorgere. I falegnami vanno in pensione e chiudono, così come i fabbri, senza lasciare eredi. Le campagne sono in stato di degrado e di abbandono. Il numero sempre più alto di ragazzi che lasciano l’Italia dovrebbe rendere insonne qualsiasi politico. Perché qui non si parla solo di cervelli in fuga — quelli sono già andati tutti — ma anche di braccia e di gambe, cioè di giovani che, dopo anni di sfruttamento, di precarietà, di lavori sottopagati e umilianti, raggiungono le mecche del Nord per trovare degli impieghi in cui la dignità del lavoro viene rispettata. Non serve avere la sfera di cristallo per immaginare che dal 49° posto continueremo a scendere inesorabilmente, spinti non dalla nostra pigrizia o inerzia ma dall’ottusità di un apparato statale che tratta le persone oneste e per bene come possibili truffatori e resta per lo più inerme verso i veri delinquenti. Uno Stato che, nonostante i grandi proclami, continua a considerare chiunque voglia intraprendere un’attività un capitalista senza scrupoli, uno schiavista in pectore a cui vanno tagliate le gambe prima ancora che cominci a camminare.
http://www.corriere.it/cronache/16_marzo_17/corsi-comprare-verderame-burocrazia-crisi-2c13cd72-ebbc-11e5-bd81-e841f592bd45.shtml

mercoledì 16 marzo 2016

I BIMBI SONO SOGGETTI NON OGGETTI DI DIRITTI, DI CLAUDIO MAGRIS

Può ogni desiderio (escludendo beninteso quelli criminosi) costituire un diritto? Una delle pochissime persone che hanno affrontato questa domanda con rigore, chiarezza e umanità è stato Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci. Come Vacca, pure Mario Tronti, senatore del Pd e, cosa ben più importante, leader e forte testa pensante dell’operaismo italiano degli anni Settanta, riconoscendo tutti i diritti alle coppie omosessuali (assistenza, eredità, convertibilità delle pensioni e così via), ha espresso forti riserve sulle adozioni gay, tanto da sottoscrivere il documento contrario a quest’ultime. Non è un caso che tali chiare e sofferte prese di posizione vengano da figure di rilievo della cultura marxista, formate da un pensiero forte capace di affrontare la drammaticità del reale e la difficoltà e necessità delle scelte. L’odierna e dominante «società liquida» (come l’ha chiamata Bauman) miscela invece ogni problema e ogni presa di posizione in una melassa sdolcinata e tirannica, in un conformismo che ammette tutto e il contrario di tutto.
Tranne ciò che contesta il suo nichilismo giulivo e totalitario. Il diritto — ricordava di recente sul Piccolo un autorevole costituzionalista, Sergio Bartole — tutela l’individuo ma anche la società e non può disinteressarsi delle ricadute di una legge sull’antropologia civile ossia sui fondamenti che tengono insieme una comunità e una società. Uno dei primissimi a capire la trasformazione delle autentiche e umane visioni del mondo in un indistinto titillamento pulsionale è stato Pasolini, quando scriveva sull’aborto o quando diceva che il voto per il divorzio era un voto giusto — anche lui aveva votato a favore del divorzio — che tuttavia molti avevano dato per ragioni sbagliate. La maggioranza aveva votato come lui, ma egli non poteva riconoscersi in essa, perché lui aveva votato per il divorzio quale rimedio a situazioni dolorose e bloccate, quale possibilità di ricomporre esistenze inceppate.
Rimedio ovvero eccezione che non negava i valori e sentimenti della famiglia né la funzione formatrice della sua unità. Quella maggioranza che aveva votato come lui gli riusciva odiosa, espressione di un relativismo nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e di pensiero. Lo si constata sempre più in ogni settore, dalla politica alla cultura alla vita privata. È il trionfo del consumo, denunciato da Pasolini; del consumo che esorbita dal suo ambito — il consumo e la possibilità di accedervi sono ovviamente una fondamentale condizione di vita dignitosa e godibile — per inglobare ogni aspetto della realtà e dell’esistenza.
«Il riconoscimento per legge del desiderio individuale quale fonte della libertà e del diritto» — ha detto Giuseppe Vacca — crea inevitabilmente frammentazione e atomizzazione in ogni campo. Non a caso nascono molte nuove e spesso effimere formazioni politiche sorte dall’impulso a scindersi, alla prima divergenza, da una precedente aggregazione con la cui linea prevalente non si concorda. Molti anni fa, in uno dei suoi geniali saggi, Lealtà, defezione e protesta, Albert Hirschman analizzava le diverse possibilità, reazioni e soluzioni che possono verificarsi quando all’interno di una compagine (collettiva o personale, partito politico, chiesa, matrimonio o unione di fatto) sorgono delle controversie.
Se i contrasti, anche chiariti duramente e mai del tutto superati, risultano compatibili, l’unione persiste: i coniugi non divorziano, i compagni non si lasciano, i dissidenti non escono dal partito o dalla chiesa. Se i contrasti si rivelano — per ragioni oggettive o per la psicologia dei contendenti — inconciliabili, l’unità viene intaccata: secessione dal partito, microscisma della chiesa quello di Lefebvre, separazione dei partener. Il distacco può avvenire nel rispetto e nella persistenza di un legame affettivo oppure nello scontro violento, in cui l’originario legame si trasforma in feroce avversione.
Se quel legame, di qualsiasi genere, era stato autentico, la sua rottura non dovrebbe avvenire senza responsabili tentativi di sanare le ferite. Si assiste invece a una continua accelerazione dei processi dissolutivi, uscite, rientri e nuove uscite da gruppi politici e proliferazione di questi ultimi, tempi sempre più abbreviati per lo scioglimento delle unità famigliari e affettive, eterno amore che finisce alla prima lite per la scelta delle vacanze. Se acquisto uno shampoo e non ne sono soddisfatto, posso sostituirlo immediatamente, ma dovrebbe essere diverso se il distacco avviene da una persona un tempo cara, da un partito o da una chiesa in cui ci si era riconosciuti. Invece la velocità delle conversioni o delle apostasie è invece sempre più alta, non si riesce più a seguire chi ha fondato un nuovo partito o una nuova corrente perché questi sono già riconfluiti in un altro alveo, così come non si riesce a star dietro a chi si separa da chi per mettersi con chi nelle riviste illustrate che si leggono dal parrucchiere.
Diritti e desideri. Ogni desiderio, se è forte, chiede, esige di essere appagato, e in questa tensione, qualsiasi sia il desiderio, c’è uno struggimento, una nostalgia dolorosa che sono parte essenziale della nostra
Prospettiva Ogni desiderio se è forte esige di essere appagato ma non bisogna pensare solo a se stessi
persona. Possono tutti essere riconosciuti per legge? Anche l’incesto può essere brutale violenza ma anche passione umana, come ci hanno raccontato tante umanissime storie di vita vissuta e tanta grande letteratura. In Svezia, anni fa, un fratello e una sorella avevano chiesto di sposarsi, cosa che non fu loro concessa e non credo solo per timori eugenetici, che potrebbero comunque venire in vari modi aggirati. Freud (per tali ragioni pure duramente attaccato) ci ha insegnato che con la sublimazione di certi desideri, a esempio ma non solo quelli edipici, con la loro trasformazione in un’altra forma di amore, ha inizio la civiltà. È una sciagura sublimare troppo, ma lo è anche non sublimare nulla. Si è visto nella famiglia tradizionale un nucleo dell’antropologia civile. La famiglia tradizionale può essere e molte volte è stata anche violenta, soffocante e nemica del libero sviluppo della persona. È ovvio che persone capaci di intelligente e attento amore possano far crescere un bambino meglio di genitori carnali incoscienti e snaturati o anche solo ottusamente incapaci di intelligente amore.
L’amore omosessuale può essere elevato o turpe al pari di quello eterosessuale. Basta aver letto Il Grande Sertão di João Guimarães Rosa per sapere e capire che ci si innamora non di un sesso, ma di una persona. Ma gli antichi Greci celebravano l’amore omosessuale per il suo rapporto anche spiritualmente diverso con la generazione, con la radice duale dell’umanità. Ho conosciuto e conosco omosessuali bravi genitori del loro figlio — avuto da una donna, non da un utero affittato. In ogni caso, il protagonista non è il desiderio della coppia né omo né eterosessuale, bensì il bambino, che comunque nasce da un uomo e da una donna e la cui maturazione è verosimilmente arricchita dalla crescita non necessariamente con i genitori naturali ma con un uomo e una donna, espressione per eccellenza di quella diversità (culturale, nazionale, sessuale, etnica, religiosa e così via) che è di per sé più creativa e formativa di ogni identità a senso unico. Il bambino, ha scritto su Facebook Vannino Chiti, «è soggetto di diritti, non un mero oggetto di desideri».

martedì 15 marzo 2016

RIGENERARE LE CITTA': CONVEGNO AL SENATO

I gruppi parlamentari di Area popolare del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati
La invitano al convegno
RIGENERARE LE CITTA’
Consumo suolo e nuova urbanistica

Martedì 15 marzo 2016 – ore 16
Sala Nassirya del Senato
Interventi di
Francesco Karrer, professore ordinario di urbanistica presso la Sapienza - Università di Roma
Livia Salvini, professore ordinario di Diritto Tributario all'Università LUISS - Guido Carli di Roma
Federico Oliva, già presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica
Giuseppe Marinello, presidente della XIII Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali del Senato
Vincenzo Garofalo, vicepresidente della IX Commissione Trasporti, Poste, Telecomunicazioni della Camera
Conclusioni di
Maurizio Lupi, presidente dei deputati di Area popolare

giovedì 10 marzo 2016

A PROPOSITO DEGLI ITALIANI UCCISI IN LIBIA

Alfano: Libia, non esiste iniziativa autonoma, solo azioni concordate con gli altri Paesi.

 I due ostaggi italiani uccisi in Libia danno la sensazione di un prezzo già altissimo pagato dall’Italia prima ancora di cominciare l’eventuale missione militare in quel Paese, ma il ministro dell’Interno Angelino Alfano la vede in un altro modo: «La connessione tra quanto è accaduto a Sabratha e l’ipotesi di partecipazione alla missione internazionale è quanto meno acrobatica. Purtroppo i nostri connazionali sono vittime di un evento che casualmente s’intreccia con quello che si sta pianificando, e il dolore è maggiore perché che ci stavamo impegnando a fondo per la liberazione degli ostaggi».
Ora quel lavoro sotterraneo continua per riportare a casa prima possibile gli altri due tecnici rapiti ancora in vita, e Alfano è parco di dettagli: «Per capire esattamente quello che è successo ci vorrà tempo, ma questi fatti dimostrano una volta di più chelì c’è la guerra; non è un film né un videogame, bensì una realtà di guerra».
Nella quale l’Italia pare si stia addentrando a pieno titolo, sebbene il ministro tenga a precisare alcuni punti fermi: «Non esiste un’iniziativa autonoma e individuale del nostro Paese, ma solo l’eventualità di azioni concordate e coordinate a livello internazionale, in una logica di azione comune».
Il varo del decreto governativo che chiama in causa in servizi segreti e le «garanzie funzionali» per chi interverrà dimostrano che siamo già in una fase molto avanzata, e Alfano rassicura: «Tutto sta avvenendo sulla base delle indicazioni contenute in una legge approvata dal Parlamento, che sarà debitamente e doverosamente informato di ogni ulteriore passo».
Il ministro è tuttavia consapevole che l’evoluzione della situazione, qualunque piega prenderà, può aumentare il rischio attentati in Italia: «E ovvio che ci sia questa possibilità, dal momento che tutte le analisi investigative e di intelligence hanno stabilito un nesso tra la “politica punitiva” messa in atto dall’Isis con gli attentati di Parigi e la partecipazione della Francia ad azioni militari. Del resto il nostro livello di attenzione è già molto alto, però bisogna fare anche un altro tipo di valutazione». Che sarebbe la seguente, scandita dal ministro con convinzione: «Escludere a priori una nostra partecipazione all’intervento su quello che sta avvenendo davanti casa nostra non è più tranquillizzante per la nostra sicurezza interna. Nella valutazione dei rischi, lasciare la situazione com’é non rende il quadro meno preoccupante per noi. Anche sul piano del pericolo attentati. Il rischio c’è già, e tenere un vulcano acceso davanti alle nostre coste non aiuta certo a ridurlo».
Dunque siamo alla conferma implicita dell’intervento italiano in Libia?
«No, solo a una considerazione su questa ipotesi legata al mio ruolo di ministro dell’Interno».
L’obiettivo «politico-strategico» dell’Italia rispetto alla questione libica resta quello di aiutare a garantire, sull’altra sponda del Mediterraneo, «un governo stabile che potrebbe darci una mano anche sull’altro fronte che dobbiamo tenere d’occhio, cioè quello dell’immigrazione».
Alfano ricorda che il 96 per cento degli ingressi irregolari in Italia passa dalla Libia, ragion per cui «avere un interlocutore stabile con cui dialogare e siglare accordi sarebbe per noi fondamentale».
L’ultima relazione dei servizi segreti ha ribadito che il rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori non riguarda la direttrice nord-africana bensì quella che attraversa i dei Balcani, e Alfano conferma: «La vecchia rotta dei contrabbandieri è divenuta la nuova rotta dei foreign fighters e dei campi di addestramento. Su quel fronte stiamo concentrando la massima attenzione, e domani (oggi, ndr) incontrerò il mio collega dell’Albania proprio per discutere e concordare iniziative sulla protezione delle frontiere e il monitoraggio dei transiti. Mi auguro che l’incontro sia proficuo anche nell’ottica delle misure antiterrorismo».
fonte: Corriere della Sera

SOSTEGNO INCONDIZIONATO AL SINDACO FELICE ERRANTE

"Le dimissioni di 19 consiglieri comunali della città di Castelvetrano, hanno messo fine all'incresciosa vicenda della permanenza in Consiglio del consigliere Giambalvo, dimostrando alla fine come il civico consesso della città fosse costituito in assoluta prevalenza da persone perbene. 
La decadenza del Consiglio comunale, avvenuta a seguito delle convulse vicende delle ultime settimane, smaschera tra l'altro quei soggetti e quei gruppi politici abituati a predicare bene ed a razzolare malissimo.
 Esprimiamo piena solidarietà alla città di Castelvetrano e la nostra totale incondizionata fiducia ed il nostro sostegno al sindaco avvocato Felice Errante, cui tocca il compito di gestire una situazione non facile. Sicuri che anche questa volta riuscirà ad operare bene e nell'esclusivo interesse della sua comunità, gli confermiamo la piena disponibilità e fiducia".

martedì 1 marzo 2016

MATERNITA' SURROGATA USA: UN BELL'ARTICOLO DI MONICA RICCI SARGENTINI

Avere un figlio da una madre surrogata non è difficile se si ha a disposizione una discreta quantità di denaro. Negli Usa, dove la pratica è legale in molti Stati, il costo si aggira tra i 135 mila e i 170 mila euro a seconda del numero dei tentativi e delle spese mediche che, per esempio, aumentano a dismisura in caso di parto gemellare. In cambio c’è la certezza del percorso legale: il bambino, prima ancora di nascere, sarà figlio dei genitori intenzionali e avrà anche la cittadinanza americana.
La portatrice, cioè la madre surrogata, firmerà un contratto in cui cederà qualsiasi diritto sul piccolo. Un particolare non di poco conto per quelle coppie omosessuali italiane che, tornate in patria, dovranno registrare all’anagrafe un neonato privo di madre. Per questo il business negli Usa aumenta a ritmo esponenziale: più di 2.000 bambini nati ogni anno, il triplo di 10 anni fa, molti dei quali per coppie straniere.
La California è la meta più gettonata dai gay italiani cui la pratica è preclusa nell’Europa dell’Est o in altri Paesi low cost. Soltanto a Los Angeles le cliniche sono decine e per prendere un appuntamento basta compilare un modulo online. I primi colloqui si fanno via Skype e anche la scelta della donatrice di ovuli si può fare da casa visionando cataloghi che danno ogni genere di informazioni: foto, età, altezza, peso, origine etnica, colore di occhi e capelli.
Più complicata la decisione su quale donna dovrà portare in grembo il bambino perché per nove mesi la coppia committente dovrà interagire con la madre surrogata e stabilire una relazione che sicuramente va al di là di un rapporto d’affari. Per questo il contratto viene stilato da un avvocato nei minimi dettagli e spesso comprende anche la dieta che la madre dovrà seguire durante la gravidanza. Le agenzie più serie fanno uno screening molto severo delle surrogate.
A Growing Generations, la più nota clinica californiana per l’utero in affitto dove vanno la maggior parte delle coppie gay, vengono prese solo l’1% delle «madri per altri» che si candidano. E se una non è disposta ad abortire in caso di problemi viene subito scartata. Se la donna ha già avuto altre gravidanze surrogate il costo sale perché è considerata più affidabile. La portatrice prende un compenso ad ogni passo: alla prima iniezione, al transfer, alla conferma del battito, per i viaggi, per i vestiti e una paga mensile. In tutto nelle sue tasche entrano 40 mila dollari.

http://www.corriere.it/politica/16_febbraio_29/adozioni-maternita-surrogata-cosi-funzionano-sistema-usa-90104fd0-de60-11e5-8660-2dd950039afc.shtml

MEDAGLIA AL MERITO DIPLOMATICO CONFERITAMI DALLA REPUBBLICA DI TAIWAN

Sono fiero e orgoglioso di condividere con voi questa gioia.  Medaglia al merito diplomatico conferitami dal Ministro degli Affari Esteri...